1765. Versailles.


La seconda metà del diciottesimo secolo per l’Europa non si aprì nel migliore dei modi!
Le maggiori monarchie europee si fecero coinvolgere in quella che i posteri hanno chiamato la Guerra dei Sette Anni, una guerra che, per certi versi, può essere considerata la prima guerra globale. Coinvolse infatti le monarchie del Vecchio Continente fin nei più remoti territori coloniali, dall’Estremo Oriente al Continente Americano.
La Francia fu quella che ne uscì peggio; economicamente in ginocchio, perse la maggior parte dei propri domini coloniali in Nord America, dove l’Inghilterra divenne la padrona quasi assoluta.
Pur essendo la trionfatrice del conflitto, le conseguenze dei sette anni di guerra si fecero sentire anche per la Gran Bretagna, soprattutto finanziariamente. Così, nel 1764, il Parlamento inglese approvò una serie di riforme fiscali a carico delle colonie americane volte a recuperare parte delle finanze investite nella guerra, la più famosa delle quali fu la famigerata Tassa sullo Zucchero. 

Fu in quel periodo che, soprattutto a Boston, il malcontento dei coloni verso le politiche della madrepatria iniziò a diventare sempre più evidente. Circolavano libretti propagandistici nei quali si potevano leggere frasi come «… il Governo di Londra non può imporre tasse senza il consenso degli americani», un ritornello che si farà sentire sempre più spesso negli anni successivi.
A quell’epoca Lucius si trovava a Parigi, con Ivar e le sue Principesse, Niccola e Justine. Avevano acquistato un’elegante residenza signorile in città, non lontano dal Palazzo delle Tuilleries, e si godevano l’atmosfera sfarzosa e libertina di Versailles e della Corte di Luigi XV.
Il sole filtrava rosso fra le imposte socchiuse della grande camera da letto di Lucius, al terzo piano del bianco edificio neoclassico in Boulevard des Italiens. La luce del tramonto di quel 15 aprile 1765 avvampava il marmoreo profilo del corpo che giaceva abbandonato fra le lenzuola di raso del grande letto a baldacchino. Disteso su un fianco, ne rimirava il sinuoso contorno, giocando distrattamente con le lunghe ciocche di rubino che ne adornavano la figura.
“Non mi stancherò mai di ammirare la tua bellezza, mia Adorata”
Niccola voltò verso di lui uno sguardo pieno di malizioso orgoglio.
“Non sei ancora sazio, mio Signore?”
“Di te?
Mai”
Sorrise conquistata dalla forza di quella sua rassicurazione e si voltò allargando le braccia e sollevando in un esplicito invito al suo sguardo oscuro i suoi seni perfetti, di un perlaceo candore. I piccoli fori del suo morso, accanto all’areola destra, spiccavano scarlatti su quel trionfo di bellezza.
Lucius si sollevò su di lei e le sfiorò le labbra con un bacio delicato, raccogliendo nella mano destra uno dei suoi seni.
“Per stasera basta, mia Adorata. Non voglio che tu ti indebolisca troppo”
“Non penserai di cavartela così!?” protestò circondandogli i fianchi con le gambe sottili e bloccando il suo bacino contro il proprio ventre “Non dirmi che anche stasera fuggirai a Versailles per qualche volgare festa in maschera!?”
“Sei gelosa, mia Principessa?”
Niccola lo spinse via da sé con un lamento e gli voltò le spalle.
“Odio quel tuo sorrisetto!”
Il vampiro le si avvicinò di nuovo, circondandole un fianco con un braccio e facendole sentire l’eccitazione che stava risvegliando i suoi istinti.
“Io adoro quel tuo broncio”
“Perché non lo prendi con la giusta severità!”
“Tu chiedimelo e io rimarrò in questo letto con te per i prossimi dieci anni!”
“Rinunceresti a tutte le sfarzose festicciole di Versailles?”
Il Romano mugugnò, nascondendo il volto fra i suoi capelli di rubino, inspirando a fondo il suo profumo.
Niccola ridacchiò e tornò a voltarsi verso di lui, lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio. Lucius le afferrò una coscia e si portò la sua gamba intorno al fianco per penetrarla, ma non lo fece. Si immobilizzò, strappandole un gemito frustrato.
“Pensi davvero che io possa essere interessato alle sfarzose festicciole?”
Niccola non gli rispose. Lo sospinse supino e gli montò a cavalcioni, prendendosi da sola ciò che lui temporeggiava a darle.
Lo provocò con un sorriso furbo.
“Lo vedi? Ti stai ammorbidendo, mio Signore!”
Lucius si sollevò di scatto a sedere, avvinghiandole i fianchi e premendola contro di sé con forza. Niccola sussultò e si morse un labbro.
“Mi trovi ammorbidito?”
“No! No, affatto”
Gli afferrò il volto, rubandogli un bacio, e gli circondò la vita con le gambe. Il vampiro mantenne salda la presa sui suoi glutei e si separò dalle sue labbra con un’espressione incuriosita.
“Ritieni che frequentare Versailles abbia effetti così negativi su di me?”
Le pose la domanda con la massima serenità, nemmeno stessero conversando in un salotto affollato, ma muovendosi dentro di lei con ritmica lentezza. Niccola socchiuse gli occhi e cercò di non lasciarsene distrarre, ma Lucius la incalzò con un sorrisetto, aumentando il ritmo degli affondi e strappandole un gemito di piacere.
“Dunque?”
“In verità, io credo… credo…”
“Cosa? Ti ascolto”
Niccola si aggrappò alle sue spalle, sospirando appassionata.
“Mio Signore…”
“Sì?”
La vampira gettò indietro la testa e inarcò la schiena con un mugolio che liberò un sospiro. Lucius la sostenne, circondandola in un abbraccio, e il suo sorriso si allargò soddisfatto. La attirò sotto di sé e le diede ciò che desiderava, godendo del suo piacere.
Rimase sdraiato su di lei, appagato, con il capo rilassato sul suo petto, respirando il suo dolce profumo.
“Io credo che la presenza di Justine nella tua esistenza non ti abbia fatto che bene, Lucius”
Niccola gli accarezzò il capo, stringendolo a sé. Il vampiro sollevò il volto verso di lei, scrutandola accigliato.
“Con la sua frizzante vitalità, Justine è riuscita a risvegliare persino nel tuo cuore il lato più gaudente, mio Oscuro Signore”
Lucius le si sdraiò accanto e si portò una mano sul petto con un sospiro e un’espressione pensierosa.
“Guarda che non è una cosa brutta, sai? Anche il grande Lucius il Romano può cercare svaghi e divertimenti! Il Mondo non andrà in rovina se tu sorriderai di più”
Niccola si sedette a cavalcioni sui suoi addominali, incrociando le braccia sul ventre spazientita.
Sul volto di Lucius si aprì un sorrisetto.
“Questo vuol dire che ho il tuo permesso per andare alle festicciole di Versailles?”
“Sì, lo hai!
Basta che non vi aspettiate, tu e quella Dissoluta Incantatrice, che io venga con voi con il medesimo entusiasmo!”
La risata profonda di Lucius riempì la stanza.
“No no, per carità! Tu e il Vichingo continuate a fare gli eremiti.
Sai quanti incipriati cortigiani mi toccherebbe passare per il filo del mio fioretto, se tu venissi con me a quelle festicciole!?”
“Quindi Justine può divertirsi quando e con chi vuole, ma io no?”
“Non fare quel broncio, Madonna Niccola! Potresti prenderti tutti i cortigiani che vuoi, come e quando più ti aggrada! Sei tu a non volerli! È proprio questo il problema!
Se tu venissi a Versailles come fa Justine, io mi ritroverei a dover proteggere la tua virtù a fil di spada ogni santa sera dalle avances di agguerriti cortigiani imbellettati… magari persino da Luigi XV! Tutte le volte che gli capiti nei paraggi, gli si illuminano gli occhi e gli aumenta la salivazione. Credo che si sia convinto che tu sia una pudica vergine casta e pura di quelle che gli piacciono tanto.
Non faccio alcuna fatica a indovinare che tipo di pensieri faccia!”
“Lucius!? Non essere sfacciato”
La porta si aprì improvvisa e Justine entrò nella stanza avvolta dalle sete rosa del suo elegante abito, nell’istante in cui entrambi ne avevano percepito la presenza fuori dalla stanza.
Niccola scivolò accanto a Lucius coprendosi con il lenzuolo e il vampiro si sollevò seduto, scrutando incuriosito l’espressione della vampira che gli si avvicinò.
“Cosa accade, mio Sole?”
Jigì sollevò l’ampia gonna, sostenuta dai larghi panier in osso di balena, e s’inginocchiò sul letto con un lungo sospiro, gettandoglisi fra le braccia.
“Una terribile tragedia!
Oh, Lucius, io lo sapevo! Lo sapevo che sarebbe accaduto troppo presto!”
“Accaduto cosa?”
Il vampiro le afferrò le spalle e la scostò da sé per guardarla negli occhi tristi.
“Madame de Pompadour!”
Justine singhiozzò il nome della Marchesa che da diciannove anni era la favorita nel cuore di Luigi XV, una donna di grande intelligenza che si era distinta per il suo amore per la cultura e le scienze, ma anche per la grande influenza che aveva avuto sul Re. Era stato suo il consiglio che aveva convinto Luigi a portare la Francia in guerra con l’Inghilterra per Sette lunghi e drastici Anni.
Lucius assentì amareggiato, accarezzandole il volto.
“Capisco”
“Erano mesi che si lamentava della difficoltà di riscaldare quel grande appartamento che il Re le aveva assegnato! Certo era stato un meraviglioso regalo… un appartamento di grande prestigio, direttamente sotto al suo… collegati da quella scala a chiocciola celata nel muro, una grande comodità e tutta la riservatezza di cui avevano bisogno, ma era troppo grande!”
Niccola afferrò la sottoveste di leggerissimo cotone bianco e la indossò, prima di avvicinarsi alla sorella. Le circondò la vita con un braccio e poggiò il capo sulla sua spalla.
“Mi rattrista il tuo cordoglio, mia amata sorella”
“Oh Niccola, era una donna incredibile! Avrà avuto tutto i difetti che volete e ha fatto tanti errori, ma ha avuto anche moltissimi meriti! Quanti illuminati pensieri sono circolati nel suo salotto! L’Enciclopedia, Diderot… parleranno di lei per secoli!
La Francia ha perso una grande personalità”
“La Francia forse, Luigi XV di sicuro!”
Aggiunse pensieroso Lucius. La dipartita di Madame avrebbe cambiato molti equilibri nella vita politica della Francia e quindi d’Europa.
“Diciannove anni di amore, amicizia e confidenze, per uno come lui, sono un’eternità! Le ha permesso di morire a corte anche se è assolutamente vietato dall’etichetta che un cortigiano muoia nella casa in cui risiede il Re. Il loro ultimo grande scandalo!”
“Immagino che le quattro Madame reali e tutta la loro cricca siano ben felici di essersene liberati! Il Delfino Luigi Ferdinando la vedeva come sale negli occhi”
Il sorrisetto di Lucius venne stemperato da un altro sospiro disperato di Justine e dall’intervento rattristato di Niccola.
“Povero Luigi! Il suo cuore non trova pace. Sei anni fa il vaiolo gli ha portato via la più adorata delle sue figlie, Elisabetta, poi il nipotino di nove anni, Luigi Giuseppe, per quel tumore al fianco dopo la caduta dal cavallino a dondolo!
Sarà anche uno degli uomini più potenti del Mondo, ma questo non lo preserva dal dolore”
“Già! E accanto non avrà nessuno disposto a dargli un po’ di conforto, né le quattro figlie che gli sono rimaste, troppo arcigne e bacchettone per comprendere uno spirito libertino come il suo, né quel serpente infido del figlio che non vede l’ora che muoia anche lui per prendersi il suo trono!”
“Non comprendo davvero come sia potuto accadere che da un cuore tanto generoso come quello della Regina Maria, che ha una devozione sconfinata per i propri figli, siano nati cuori tanto infami!”
“Io invece non comprendo per quale dannatissimo motivo il Destino si sia preso la vita della Principessa Elisabetta e ci abbia lasciato fra i piedi quelle quattro serpi! Sono troppo cattive persino per il vaiolo!”
“Anche Madame de Pompadour ha contratto il vaiolo?” si intromise Lucius ridacchiando del disappunto di Justine.
Il vaiolo era una piaga che non risparmiava neppure i reali d’Europa e la corte francese negli ultimi decenni ne aveva subito i devastanti effetti più di altre!
“No. Pare non sia stato il vaiolo, stavolta. Parlano di un edema polmonare acuto. Erano mesi che stava male… quella tosse! E sapete cosa mi fa più rabbia!? Che lui non le fosse accanto! Era a messa con la famiglia reale e, quando lo hanno avvisato che le condizioni di Madame erano peggiorate e ha dato segno di volerla raggiungere, il cardinale lo ha fulminato che nemmeno Dio avrebbe potuto far meglio!
È tutto così ingiusto”
“Justine, Mon Solei, ti accompagnerò al suo funerale”
“No, Lucius! Sai che odio i funerali! Preferisco andare a portarle i miei omaggi quando nessuno la penserà più! La tumuleranno nella Cappella dei Cappuccini in Place de Vendome. Andremo lì nei prossimi giorni”
“Come preferisci. Farò quello che recherà più conforto al tuo cuore triste, pur di veder tornare presto il tuo abbagliante sorriso”
“Non temere, mio Signore, sorriderò sempre per te! Ma resta il fatto che la Storia ha appena perso una delle sue stelle più brillanti, che ne possa dire la pettegola Corte di Versailles, covo di vipere profumate e incipriate!”
“Se non ti avessi reclamata per me, tu saresti stata una stella ben più brillante nel firmamento della Versailles di Luigi XIV, cento anni fa!”
Justine si lasciò blandire dalla dolcezza di Lucius che le accarezzò il viso con un sorriso conquistato.
“Mi dispiace di esservi piombata fra i piedi come una pazza, ma la notizia mi ha davvero sconvolta. Adesso però tolgo subito il disturbo così che possiate riprendere le vostre piacevoli attività!”
Justine scivolò giù dal letto con un’occhiata maliziosa rivolta alla sorella che si schiarì la voce, stringendo il laccetto che chiudeva la scollatura della sottoveste da notte. Lucius sorrise e, dispettoso come sempre, scese dal letto incurante della propria nudità. Si stirò i muscoli con sfacciato esibizionismo e accennò un inchino alle vampire.
“Grazie per il gentile proposito al quale cederei più che volentieri, ma si è fatto tardi e ho un impegno che mi attende.
Vi auguro una buona notte, mie Adorate Principesse.
Ci rivedremo domani all’alba e potremo riprendere tutte le piacevoli attività che vorrete”
Ridacchiò dell’imbarazzo di Niccola e afferrò la coulotte in raso di seta verde che aveva abbandonato sul pavimento di legno, indossandola.
“Lascia che ti aiuti!”
Justine si affrettò a inginocchiarsi di fronte a lui per stringere la fibbia che chiudeva il fondo dei calzoni appena sotto al ginocchio, mentre Lucius ne abbottonava i tre bottoncini che chiudevano la patta. La vampira si alzò e lo spinse a sedere sul bordo del letto per infilargli le lunghe calze di seta bianca; Niccola, ripresa la camicia di mussolina del vampiro dal fondo del letto, lo aiutò a indossarla, baciandogli il collo prima di farsi indietro. Lucius sorrise e si aggiustò la camicia sulle larghe spalle, lasciando a lei il compito di allacciarla, prima di indossare il gilet, anch’esso di seta verde.
“La moda maschile si sta finalmente orientando verso una praticità ben più auspicabile dell’eccentricità dello scorso secolo” constatò distratto, indossandolo e allacciandone i tre grossi rubini tondi che fungevano da bottoni centrali.
Justine gli passò la cravatta nera e poi lo aiutò a indossare il justaucorps, la marsina di raso di seta anch’essa verde, lunga fino al ginocchio e aperta per lasciar ammirare il gilet decorato da impunture dorate.
“Sei incantevole, mio Signore!”
La vampira trillò eccitata stampandogli un bacio sulle labbra.
“Niccola? Sei d’accordo?”
“Justine ha un gusto impeccabile, mio Signore!”
Jigì scrutò con aria critica cinque parrucche adagiate su altrettante sagome, tutte rigorosamente incipriate secondo la moda più in voga.
“Manca la parrucca!”
Ne scelse una nera, liscia e corta, con un lungo codino sulla nuca e tre rigidi boccoli su ciascun lato.
“Ecco! Questa”
Tornò da Lucius, alzandosi in punta di piedi per aggiustargli sul capo la parrucca che aveva scelto.
Il vampiro indossò le alte calzature di cuoio dorato e si voltò verso le vampire per lasciarsi ammirare. In realtà rimase incantato lui, guardandole una accanto all’altra. Niccola, con la leggerissima veste da notte calata lasciva su una spalla, era ancora inginocchiata sul letto disfatto, con la folta chioma di fuoco arruffata e selvaggia, e Justine, in piedi accanto a lei, i boccoli di ossidiana disciplinati in un’ardita acconciatura arricchita di piume e spilloni ingioiellati, era bellissima nel suo abito di seta rosa che sottolineava il suo decolté florido e pieno in modo quasi sfacciato.
“Ora è meglio che vada, perché, se resto qui ad ammirarvi un solo istante in più, non uscirò più da quella porta!
Buona notte, mie Signore”
Voltò loro le spalle e uscì dalla stanza rapido e silenzioso.
Justine si lasciò cadere seduta sul bordo del letto e Niccola le circondò le spalle affettuosa.
“Mi dispiace per il tuo lutto, sorella mia”
“Lo so, Niccola, grazie, ma, non temere, passerà presto! L’Eternità è troppo lunga per lasciare che la nostalgia rattristi i miei giorni e poi la Storia mi offrirà qualcosa di nuovo a cui appassionarmi. Rimane ancora molto di cui godere qui in Francia, anche se non dimenticherò i pomeriggi trascorsi in compagnia di Madame!”
Si voltò verso di lei e l’abbracciò con slancio.
“Troverai di sicuro qualcosa che ti allieterà! Non ho dubbi”
Justine si separò da lei quel tanto che le bastava per scrutarla con fare intrigante.
“A tal proposito!”
“Sì?”
"Vieni con me in cerca di qualche festa! Voglio giocare stanotte!”
“Non lo so, Justine, sai che non…”
“Oh avanti! Stasera sono troppo triste per andare da sola!”
Niccola scosse il capo sorridendo rassegnata davanti al broncio afflitto che Justine mise in scena.
“Va bene, verrò con te! Non posso certo lasciarti sola proprio stasera”
“Ecco! Uno di quei rari sorrisetti truffaldini illumina il tuo volto, mia morigerata Madonna, come le volte in cui ti fai coinvolgere con me! Lo adoro.
Andiamo, sorella mia, cerchiamo qualche nobile marchesino che voglia saziare il nostro appetito stanotte offrendoci le sue vene o… quel che voglia offrire!”
Niccola si lasciò trascinare giù dal letto ridendo, prima di seguire Justine in una delle sue folleggianti notti di lussuria e piaceri.
Nel novembre di quel 1765, mentre Lucius e i suoi vampiri continuavano a godersi la bella vita della corte di Versailles, il Parlamento inglese approvò un provvedimento con il quale impose ai coloni americani una tassa su ogni foglio stampato, incluse carte di bordo, documenti legali, licenze, giornali e qualunque altra pubblicazione. La carta da stampa doveva provenire dall'Inghilterra e portare una marca da bollo in rilievo che testimoniasse il pagamento della tassa.
Una volta di più si animò il dibattito sulla portata dell’autorità inglese sull’esistenza delle Colonie, vessate da un carico fiscale che stava diventando sempre più intollerabile. Fu in quel periodo che a Boston, in Massachusetts, iniziarono i primi disordini contro le istituzioni inglesi.
Fu proprio a Boston che, nell’agosto nel 1765, nacquero i famigerati Sons of Liberty con lo scopo di proteggere i diritti delle colonie, una società segreta costituita da un gruppo di coloni di diverse estrazioni sociali, fra cui si annoveravano nomi illustri quali Samuel Adams, il cugino John Adams, Thomas Hancock, Paul Revere e il Dottor Joseph Warren, passati tutti alla storia per gli eventi di quei decenni.


1766. Venti di rivolta da ovest.


La situazione nelle Colonie inglesi d’oltreoceano si fece ancora più complicata nel corso del 1766. Il Parlamento inglese, per rivendicare il proprio potere messo in discussione tanto apertamente dalle Colonie con la loro opposizione alle leggi fiscali, varò una nuova norma che stabiliva, in modo ufficiale, l'autorità di legiferare su qualsiasi questione ("in all cases whatsoever") per governare le Colonie. Gli inglesi tentarono così una risposta alle pretese dei ricchi coloni che sostenevano che il Parlamento non poteva governare la loro vita dal momento che le Colonie non avevano alcuna rappresentanza a Londra.

Si stava creando una situazione sempre più pericolosa per gli equilibri internazionali e c’era chi, presto o tardi, l’avrebbe ampiamento sfruttata a proprio unico vantaggio!

Nella primavera di quel turbolento 1766, Lucius ricevette, nella propria dimora di Parigi, Anluan l’Irlandese, anch’egli membro dell’Alleanza, universalmente riconosciuto come il Signore di tutti i vampiri, una guida saggia, forte e giusta che da tempo immemore agiva al solo scopo di garantire la sopravvivenza della razza vampira.

Nel salotto verde e oro, al secondo piano del palazzo signorile di Lucius, comodamente seduti sui divanetti imbottiti di velluto verde e decorati da intarsi dipinti in oro, discussero a lungo della politica che il Parlamento inglese stava portando avanti per gestire le relazioni con le Colonie oltreoceano.

Niccola, avvolta in morbido taffetà giallo, sedeva accanto al Romano, leggendo distrattamente una raccolta di poesie, in realtà più concentrata sui loro discorsi che sulle pagine del proprio libro.

Anluan aveva appena finito di esprimere grosse perplessità su come l’Inghilterra stava gestendo la situazione, ma Lucius pareva poco interessato alla questione, il che, Niccola lo sapeva bene quanto l’Irlandese, era una circostanza alquanto inusuale.

“Che gli Inglesi continuino a fare ciò che più soddisfa i pruriti di quel testone di Frederick North, Anluan!

Finora non si può dire che si sia comportato male, come Primo Ministro. L’Inghilterra di Giorgio III sta raggiungendo obbiettivi invidiabili.

Pensavo che North riscontrasse la tua approvazione!”

“Per favore, Lucius! La questione non è se North mi piaccia o meno!

Sono irlandese! Nessun inglese potrà mai riscontrare la mia approvazione!”

Lucius ridacchiò levando il calice di cristallo, nel quale un dito di sangue rubino ondeggiò languido.

“E dunque? Qual è la questione, Amico Mio?”

“La questione è il controllo sulle Colonie inglesi e tutto ciò che ne consegue per noi!

Il Parlamento sta facendo il pugno duro! Non si rendono conto che la corda si sta tendendo troppo.

I setti anni di guerra contro la Francia, lo sai meglio di me, sono stati una catastrofe per Luigi XV, ma ti assicuro che non sono stati meno drammatici per le finanze di Giorgio III! Non sono quisquiglie, Lucius! Parliamo di uscite molte sostanziose che pesano sul bilancio del Regno”

“Non credo che gli inglesi avranno grandi problemi per ritrovare stabilità economica! Hanno strappato anche il Canada ai francesi. Mi si dice che da quelle parti non mancano materie prime! E poi c’è la canna da zucchero!

Meravigliosa scoperta! Sta rendendo più argute le menti di molti Effimeri e, di certo, più dolci anche molti dei nostri pasti”

Questa volta fu Anluan a ridacchiare.

Il sorriso sul viso di Niccola, circondato dai boccoli scarlatti sfuggiti alla complessa acconciatura, incantò entrambi.

“Hai colto uno dei problemi principali della situazione”

“La canna da zucchero?”

Anluan fulminò esasperato l’espressione scanzonata di Lucius.

“Le risorse del Nuovo Mondo! Inclusa la tua adorata canna da zucchero!

Gli inglesi considerano logico che le spese per il mantenimento dell'Impero siano condivise anche dalle Colonie”

“Non vedo alcuna irragionevolezza in ciò”

“Ovvio che non ne vedi, ma la conclusione del conflitto contro la Francia ha deluso le colonie americane… soprattutto le classi mercantili più ricche che avevano previsto un grande ampliamento delle loro attività dopo la vittoria e l'acquisizione dei territori francesi oltreoceano.

Giorgio III, con un bel proclama reale, ha interdetto alla colonizzazione tutti i territori a ovest dei Monti Allegheny, per non scatenare altre guerre coi nativi, sostiene lui… che sarebbe un intento più che lodevole, per carità! Peccato che camuffi, nemmeno troppo bene, la volontà di controllare l'attività degli speculatori all'interno delle Colonie.

A conti fatti, alla fine, ha provocato la riprovazione di molte potenti società commerciali che non vedevano l’ora di potersi espandere!”

“Sono piuttosto ignorante sul merito della geografia americana, mi dispiace, e ancor meno mi interessano gli affari economici delle società mercantili coloniali” il Romano fece spallucce e sorseggiò il sangue dal proprio bicchiere con un’espressione delusa “Freddo perde ogni attrattiva! Decisamente meglio attingere direttamente alla fonte”

“Lucius!?”

“Sì, Anluan?”

“Sei davvero indisponente, quando ti chiudi nel tuo piccolo regno incantato, lo sai?”

Il Romano, offeso dal rimbrotto, scrutò il volto dell’Irlandese.

Abbandonò il bicchiere sul tavolino fra loro e si raddrizzò seduto in tutta la propria imponente auctoritas.

Anluan inarcò un folto sopracciglio rosso, raccogliendo le mani in grembo, in paziente attesa.

Vale!

Hai vinto tu, dannato di un Irlandese!

Siamo preoccupati per la politica inglese oltreoceano!

North sta facendo una sequenza di pessime scelte politiche con le sue leggi fiscali. Siamo d’accordo.

Ha fatto apparire l’abrogazione dello Stamp Act un ridicolo contentino, ristabilendo, con tutta l’ufficialità di legge e in modo indigesto, l’autorità del Parlamento sulla vita delle Colonie e ai coloni la faccenda sta bruciando!

I Figli della Liberta di quel sognatore di Adams e di quell’accorto arrivista di Hancock ne sono la riprova più evidente!”

Sul volto di Anluan si aprì un ampio sorriso soddisfatto.

“Ero certo che eri al corrente degli eventi oltreoceano più di quanto volessi dare a vedere”

“Perché sapevo che, presto o tardi, ci saremmo trovati a fare questa chiacchierata”

“No, non solo, mio caro!

Perché sei uno dei più accorti paladini della nostra razza e sai che le conseguenze degli eventi umani non sono mai troppo estranee al destino di noi tutti”

“Viviamo nel loro mondo, è inevitabile. Purtroppo.

Tuttavia… beh credo che tu, questa volta, ti stia allarmando in modo eccessivo.

Giorgio III e North sistemeranno i malcontenti dei coloni, in un modo o nell’altro e, in ogni caso, non vedo la ragione di imputare tanta importanza a queste scaramucce territoriali”

“Dimentichi chi si è trasferito oltreoceano un centinaio di anni fa!”

Lucius scrutò il volto di Anluan e di nuovo un accattivante mezzo sorriso increspò le sue labbra carnose, rivelando uno dei canini leggermente troppo lungo e appuntito.

“Capisco! Allora è di questo che si tratta.

Dopo cento anni, ancora non l’hai digerita”

“Sciocchezze! Non c’è nulla da digerire. La tua ironia offende la mia intelligenza, Lucius!”

Il Romano ignorò il puntiglio dell’Irlandese e non depose il proprio sorrisetto. Niccola scrutò entrambi inquieta.

“Che anno era? 1648?”

“Giugno 1648!”

“Cento anni fa il Baronetto Hanry Flucker pisciò controvento e tu lo rimisi al suo posto. Pensavo che la questione fosse ormai chiusa”

“Non è affatto chiusa, Lucius! Lo sai bene! E non certo perché mi sfidò!

All’epoca scelse la soluzione migliore per la concordia di tutti. Se mi avesse costretto ad andare fino in fondo, se avessi dovuto distruggerlo, il mio cuore ne avrebbe sofferto, nonostante la sua audacia!

È la concordia, la fondamenta più solida su cui edificare la nostra esistenza!

La sua distruzione avrebbe creato malcontento e…

Una crepa sottile oggi può diventare la falla che farà affondare la nostra nave domani!”

Lucius assorbì impassibile lo sguardo scuro con cui Anluan suggellò la propria profezia.

Niccola rabbrividì.

“Rinunciando ai propri propostiti e salpando per il Nuovo Mondo, Sir Flucker ha fatto la scelta migliore.

Ciò non toglie che la situazione che si sta creando laggiù possa potenzialmente essere fin troppo favorevole a un animo come il suo.

In America l’ha fatta da padrone indisturbato per tutti gli ultimi centodiciotto anni e noi gli abbiamo concesso di farlo”

Anluan si raddrizzò sulla poltroncina imbottita sporgendosi verso il Romano con un’espressione feroce. Niccola abbassò il libro di poesia in grembo, fissando preoccupata il volto pallido dell’Irlandese, i lunghi capelli rossi, ricci e crespi, costretti in una treccia ordinata fra le scapole, abbellita da nastri azzurri e bianchi, le folte sopracciglia incurvate fin quasi a toccarsi e i profondi occhi indaco accesi di un bagliore a cui era difficile resistere.

Lucius non si fece impressionare dal risentimento che stava accalorando l’espressione dell’Irlandese e rimase impassibile accanto alla vampira, attendendo che Anluan riprendesse a parlare.

Non lo fece.

“Ha giurato fedeltà all’Alleanza! Prima di partire ha rinnovato il proprio vincolo con noi. Da allora ha sempre rispettato le nostre leggi.

Non abbiamo avuto problemi nel Nuovo Mondo, Anluan.

È una testa calda, non lo nego, ma è avveduto. Non oserebbe sfidarti di nuovo.

Per quel che so… beh non mi risulta che avrebbe un altro nuovo mondo in cui fuggire a rintanarsi”

“Potrebbe crearsene uno lì dove si trova, se le condizioni gli fossero favorevoli!”

Anluan, lo sguardo sottile fisso su di lui, fece una pausa per permette al cuore del Romano di soppesare con adeguata precisione il senso della propria insinuazione.

“Lucius!

L’Alleanza è troppo lontana dai vampiri del Nuovo Mondo. In molti non ci hanno neppure mai visto di persona! Conoscono a malapena i nostri nomi e non hanno motivi reali per temerci o rispettarci, se non ciò che gli è stato raccontato da coloro che sono arrivati lì dall’Europa.

Sir Flucker ha fascino e carisma, sarebbe idiota da parte mia negarlo! Mi dicono che è rispettato in tutte le tredici Colonie. Ha interessi e relazioni con molti Effimeri, economicamente e politicamente in vista. Non c’è vampiro americano che non lo conosca.

Se la situazione americana sfociasse in una rottura con la madrepatria, gli esseri umani vicini a Sir Flucker ne avrebbero tutti molto da guadagnare e lui con loro!

Non se ne starà a guardare in attesa che Giorgio III e North riportino la situazione sotto controllo. Farà in modo che gli eventi prendano il corso a lui più conveniente.

Di fronte a una spaccatura fra l’Inghilterra e le Colonie, se venisse chiesto ai vampiri delle Colonie di scegliere chi seguire, cosa credi avverrebbe?”

Niccola si voltò a fissare il volto scuro di Lucius. La sua espressione si era fatta cupa e il sorrisetto era scomparso, confermandole che le ipotesi di Anluan preoccupavano anche lui.

“Cosa vuoi che faccia?”

L’Irlandese si rilassò sulla poltroncina. Era soddisfatto. Aveva ottenuto l’attenzione di Lucius.

“Per ora nulla di concreto.

Continuiamo a tenere d’occhio la situazione e attendiamone l’evolversi.

Se, come temo, la tensione dovesse aggravarsi, saresti disposto a fartene carico?”

“Se l’Alleanza ritiene che sia il caso, mi recherò di persona nel Nuovo Mondo.

Darò ai vampiri americani i motivi che gli servono per temere e rispettare gli Antichi!”

Anluan annuì, pago della ferocia che infiammò lo sguardo del Romano.

“Bene, molto bene!

Non possiamo mai abbassare la guardia, Amico mio. Dobbiamo continuare a vigilare sugli eventi della Storia, per poter garantire il bene della nostra gente. Il mondo degli Effimeri muta troppo in fretta e, se non stiamo attenti, prima o poi non saremo più in grado di comprenderlo”

Lucius si rilassò contro lo schienale del divanetto e la sua espressione si aprì in un nuovo sorrisetto.

“Adesso che abbiamo stabilito che la politica coloniale inglese è un problema che risolveremo a breve, sei più sereno?”

“Non mi interessa la politica coloniale inglese, più di quanto possano interessarmi le avventure di letto del vostro Luigi XV, Lucius! Lo sai bene.

Se Sir Flucker non risiedesse a New York, le relazioni fra Colonie e madrepatria non sarebbero un nostro problema! E, in ogni caso, non dovranno diventarlo!

È Sir Flucker il nostro possibile problema”

“Se diventerà un problema, verrà risolto. Come sempre!

Adesso che ne dici di dedicarci a passatempi meno fastidiosi di Sir Hanry Flucker e più utili a comprendere il mutevole mondo degli Effimeri?”

“Parigi ti dona, Amico mio!”

Il Romano ridacchiò, scrutando soddisfatto Niccola.

“Parigi?”

“Hai ragione! Parigi da sola non avrebbe il potere di riportare il sorriso su quel tuo muso scuro!

Sono state l’ambra e lo smeraldo, a riportare la luce nel tuo cuore”

Niccola sorrise conquistata dal complimento che le aveva appena fatto Anluan.

“Sai che avrai la mia eterna invidia, per la bellezza da cui sei circondato!”

“Fosse solo la tua, Anluan, sarei onorato! E avrei anche meno grattacapi”

“Direi che il gioco vale la candela”

Lucius sorrise dell’allusione esplicita, notando lo sguardo ammirato dell’Irlandese fisso su Niccola.

“Sì, ma è una faticaccia!”

“Se vuoi, posso pensarci io a sollevarti da questa onerosa fatica!”

Il Romano scrutò con un sopracciglio inarcato Anluan, prima di scoppiare in una profonda risata.

“Te lo dissi a Galway!

Quella notte sarebbe stata l’unica”

“Me lo ricordo, non temere, ma spero sempre che tu possa cambiare idea!”

Niccola si agitò sul divanetto, sotto lo sguardo attento e ammirato dei due vampiri.

Se avesse potuto, sarebbe arrossita fino alla punta delle dita. Il ricordo di quella folle notte irlandese, annaffiata da whiskey sulle note delle ballate gaeliche, duecento anni prima, la scombussolava ancora… e non certo perché fosse un ricordo spiacevole, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce!

Lucius le prese la mano destra e ne sfiorò il dorso con un bacio.

“Mia Adorata, ci fai compagnia per una passeggiata in carrozza fino a Versailles?”

Niccola sorrise, ancora a disagio.

“Ne sarò onorata, mio Signore”

L’imbarazzo non l’aveva ancora abbandonata quando, poco più tardi, si ritrovò seduta sul sedile imbottito di un’elegante carrozza, ancora una volta fra Lucius e Anluan, dopo duecento anni, di nuovo affascinata dai due Signori dei Vampiri.

L’anno successivo, 1767, Londra approvò una nuova ondata di tasse a carico delle Colonie. Vennero posti dazi su numerosi beni di consumo che i coloni dovevano per forza acquistare dai mercanti inglesi, dal momento che non potevano essere prodotti in Nord America.

I mercanti di Boston, schierati attorno a John Hancock e Samuel Adams, organizzarono il primo accordo di non-importazione, chiedendo ai commercianti di sospendere la vendita delle merci d’importazione britannica. Anche i mercanti di altri porti coloniali, tra cui New York e Filadelfia, si unirono al boicottaggio delle merci inglesi. In Virginia, il tentativo di boicottaggio fu organizzato da George Washington.

I boicottaggi risultarono tuttavia meno efficaci di quanto i promotori avevano sperato. Alcuni commercianti americani, per interesse personale, non aderirono infatti ai “non import agreements”.

Nel frattempo, a Boston, si era insediata l’American Customs Board, una commissione doganale che aveva libero mandato di perquisire arbitrariamente botteghe e case private in cerca di merci di contrabbando e illegali. L’operato della Commissione fu supportato fin da subito da un nutrito contingente militare arrivato dalla madrepatria. La situazione a Boston si fece così sempre più tesa, finché i funzionari britannici, in giugno, ordinarono il sequestro nientemeno che del mercantile Liberty di proprietà di John Hancock, accusandolo inoltre di essere un contrabbandiere. Si innescò così una nuova ondata di gravi scontri.

L’Inghilterra rispose con un ulteriore rinforzo del contingente militare già presente in città.

Il 1768 fu un anno denso di avvenimenti, sia nel Nuovo che nel Vecchio Continente.

A Londra, Anluan stava continuando a seguire con attenzione, ma restando in disparte, l’evolversi della situazione con le Tredici Colonie; a Parigi, Lucius, insieme ai suoi vampiri, aveva continuato a trascorrere le giornate godendo tutto ciò che l’esuberante corte del Settecento francese aveva da offrire.

Il 24 giugno di quel 1768, a Versailles, si spense, a causa della tubercolosi, la Regina Maria Leczinska, la consorte di Luigi XV. La sua morte, all'età di 65 anni, fu un durissimo colpo per la monarchia francese e per Luigi, che, pur avendo avuto un numero immenso di amanti, l'aveva sempre tenuta in gran conto e amata.

Luigi aveva 58 anni ed era un uomo in forma e ancora di bell’aspetto. I Cancellieri del Re e le figlie temevano che, passata la disperazione per la perdita di Madame de Pompadour (per lungo tempo la sua grande favorita), libero ormai da legami matrimoniali (dopo la morte della Regina), tornasse nuovamente a farsi coinvolgere in una vita dissoluta e dedita a piaceri e cortigiane. Quindi tentarono di organizzare quanto prima un nuovo matrimonio con una principessa di rango reale.

La scelta cadde su Maria Elisabetta, una delle figlie di Maria Teresa, Imperatrice d’Austria, ed entusiasmò molti a Corte.

Justine entrò nel salotto verde del Palazzo di Boulevard des Italiens come un raggio di sole che buca le nubi in tempesta.

“Grandi novità da Palazzo!”

Niccola sollevò lo sguardo di smeraldo dalle carte che stava studiando in attesa che Ivar facesse la propria mossa, seduto con lei al tavolino da gioco nel più tipico stile roccocò, ormai tanto diffuso in tutti i bei salotti del Regno di Luigi XV.

Justine si tolse l’elegante cappello a tesa larga, impreziosito da fiocchi e merletti, e lo gettò sul divanetto davanti al camino, e si accostò con eleganza civettuola alla sorella. Si appoggiò alle sue spalle e le sfiorò una guancia con un bacio, sbirciando la sua mano di carte.

Ivar la scrutò incuriosito.

“Arrivi da Versailles?”

“Sì!”

“Duque?”

“Pessima mossa, Niky! Se non imparerai a giocare come si deve, non potrò mai portarti con me a una serata di faraone a Corte!”

Niccola abbandonò le proprie carte sul tavolo senza curarsi di nasconderle a Ivar, sbuffando per il rimprovero della sorella.

“Il mio cuore sta già piangendo per questo funesto evento! Come potrò mai sopravvivere se non mi porterai in quel postribolo di imbellettate signorine che si pavoneggiano per rotolarsi in ogni possibile anfratto con vacche di una sfrontatezza senza pari?!”

“Uhuu che gelo che mi è arrivato! Mea Domina? Versailles riesce a tirar fuori il peggio di te”

“Non prenderti gioco di me, Ivar!”

“Niccola sei noiosa e bacchettona!”

“E tu sei sconsiderata e civettuola!”

Ivar batte le mani sul tavolino che scricchiolò pericolosamente e si alzò in piedi stirandosi in tutta la sua stupefacente mole.

“ Per Mjolnir basta! Finitela subito qui o mi trasformerò in cenere per la noia!”

Justine lo ammirò sfacciata e scivolò sensuale verso di lui, abbracciandolo. Il Vichingo ricambiò il suo abbracciò, baciandole la fronte.

“Che novità porti dal postribolo degli imbellettati?” le chiese, ridacchiando dell’espressione offesa di Niccola.

“Pare che la Francia dovrà rinunciare alla sua tanto attesa nuova Regina!”

Justine si godette la sorpresa dei fratelli.

“La bella Maria Elisabetta d’Austria non ha conquistato le Mal-Aimè Luis?

La voce profonda di Ivar suonò intrisa di ironia, concentrata soprattutto nell’appellativo che usò per apostrofare il Re. Tutta Parigi lo derideva così, dopo che per anni era stato il Bien-Aimè, il Beneamato.

“Com’è possibile? Dicono tutti che Maria Elisabetta sia la figlia più bella dell’Imperatrice!

Ha 25 anni, è bella, è l’Arciduchessa d’Austria! Cosa deve avere una principessa per compiacere Luigi? E non rispondermi ovvietà pleonastiche alquanto volgari, perché sappiamo perfettamente che non è una moglie di stirpe regale che necessita per tutti i suoi sollazzi!

Non ci credo che Maria Teresa gli permetta di mandare a monte il matrimonio”

“Maria Elisabetta era bella, mia adorata sorella!”

Niccola si accigliò, fissando la cattiveria civettuola di Justine.

“Ci ha pensato il vaiolo a mandare a monte il matrimonio”

“È morta?!”

“No no! È viva, ma pare che non sia più così avvenente! Le è rimasto un orribile gozzo e i segni della malattia sul volto.

Luis non vuole più saperne. Figurati!

Oltretutto pare che adesso abbia per le mani una nuova… ovvietà pleonastica alquanto volgare!”

Niccola sollevò gli occhi al cielo sbuffando e Justine ridacchiò.

“Jeanne Bécu de Cantigny!

Pare che il fascino infinito e i talenti nell'amore di cui la fanciulla è dotata stiano dando una nuova gioventù al nostro amato Re.

C’è già chi dice che ne farà la sua nuova favorita”

“Speriamo non ci tocchino altri sette anni di guerra idiota!”

Justine liquidò con uno sbuffo infastidito l’insolenza di Ivar, separandosi dal suo abbraccio.

“Quanto poco romanticismo che c’è nel tuo cuore, barbaro di un Vichingo!

Comunque!

Il cavaliere Jean-Baptiste Du Barry si sta interessando della questione e si fa il nome del fratello minore, il conte Guillaume, come promesso sposo della fanciulla. Bécu non è certo un nome che si possa sentire con favore a Corte! Bisogna che l’espertissima fanciulla abbia un cognome nobile, prima che Luigi possa portarsela a Versailles e tenersela a portata di… beh diciamo mano”

“E chi ci guadagna di più questa volta?”

“Oh Ivar! Il tuo cinismo è avvilente!”

Il Vichingo inarcò uno spesso sopracciglio biondo, incrociando con aria saputa le braccia sul petto infinito, per nulla toccato dalla protesta di Jigì.

“E va bene! Hai vinto tu! Cinico e sventurato.

Il ministro Étienne de Choiseul è lì solo perché lo aveva voluto la Pompadour! Lo sanno tutti.

Per rimanere dov’è, sta cercando in tutti i modi di far concentrare tutti gli appetiti del Re sulla sorella, la Duchessa di Grammont, solo che il Maresciallo Richeliue ha avuto per le mani… e sembra non solo lui e non solo fra le mani, questa fanciulla di grandi… talenti! Jeanne Bécu, appunto.

Insomma, per farla breve! Choiseul perderà la propria influenza sul Re a vantaggio di Richelieu! Ormai lo hanno capito tutti.

La famiglia Du Barry, invece… beh ovviamente verrà ricompensata per la propria disponibilità a concedere un nobile cognome alla Bécu con una cifra che dovrebbe aggirarsi intorno alle cinquemila livree!”

Ivar fece un gesto stizzito e Niccola sgranò gli occhi.

“Io sarò anche noiosa e bacchettona, ma a Versailles vivono fuori dal mondo!

Cinquemila livree per dare un cognome al nuovo sollazzo del Re perché possa apertamente sfoggiarla in mezzo ai suoi viscidi pavoni!?

Non possono continuare così a lungo! Finiranno male tutti! Altro che vaiolo e tubercolosi!”

In barba alla triste ma veritiera profezia di Niccola, il 22 aprile dell’anno seguente, 1769, sposata e munita di un cognome più in vista di Bécu, Madame la Contessa du Barry, fu presentata ufficialmente a Corte durante una festa a cui presero parte anche Lucius, Ivar, Justine e una riluttante ma affascinante Niccola.

Madame du Barry si conquistò da subito numerose antipatie, ma anche la devozione di Luigi XV.

Fra i più ostili alla nuova favorita si distinsero le Mesdames, le figlie del Re, che non persero tempo, quando, nel maggio del 1770, Maria Antonietta arrivò a Versailles, per sposare il Delfino Luigi Augusto, il nipote del Re, coinvolgendola subito nei loro intrighi.

Il figlio di Luigi XV, a lungo tenuto lontano dalla politica dal padre, era morto nel dicembre di cinque anni prima a causa del vaiolo. Luigi Augusto era pertanto assurto al ruolo di Erede al trono come futuro Luigi XVI.

Le nozze del giovanissimo Delfino e della bella Maria Antonietta furono celebrate prima per procura, il 19 aprile, e, in seguito, in forma solenne a Versailles, il 16 maggio.

Anche il popolo venne invitato a festeggiare la gioia della famiglia reale. Dopo cena avvenne la cerimonia del coucher, a cui, per etichetta, doveva assistere l'intera corte. La coppia entrò nel letto e l'arcivescovo benedisse il talamo. Alla fine della cerimonia gli sposini vennero lasciati soli, ma il matrimonio non venne consumato.

Pochi giorni dopo, il 30 maggio, a conclusione dei rituali festeggiamenti, alcuni fuochi d'artificio caddero sulla folla festante e, nel panico che ne seguì, centinaia di parigini persero la vita calpestati e schiacciati nella ressa.


1770. New York.


Tre settimane dopo il matrimonio del Delfino Luigi Augusto con Maria Antonietta, Lucius ricevette una missiva, da parte di Teocrate di Atene, Signore dell’Alleanza dei Vampiri.

«Amsterdam, 20 maggio 1770.

Mio amatissimo fratello,

spero stiate tutti bene e che il tuo potere continui a prosperare come ci si auspica. Parigi diventa ogni giorno di più un ambiente stimolante e ricco di vita, nel quale, mi dicono, le tue giornate trascorrono lievi e gioiose. Sono lieto di sapere che, finalmente, anche il tuo cuore ha trovato la serenità che merita!

Ho appreso con interesse del matrimonio del giovane goffo, sgraziato e pingue Delfino Luigi Augusto con la bella e indomita Arciduchessa austriaca Maria Antonietta, una coppia di cui seguirò con curiosità il destino! So di grandi festeggiamenti e immensa gaiezza per l’evento, peccato la deludente conclusione! Immagino l’insoddisfazione della sposina. Animi malevoli raccontano che il prode Delfino non sia all’altezza della fama del bisnonno e dello stesso nonno che invece sembra ringiovanito in compagnia della sua nuova favorita.

Ho sentito dell’epilogo dei festeggiamenti tinto del sangue dei cittadini di Parigi. Cattivo presagio per la futura coppia di sovrani, temo.

A ogni modo, per ciò che riguarda me, sono lieto di informarti che il giovane Sebastian continua a gratificare le aspettative che abbiamo riposto in lui, il secolo scorso. Non ha più smarrito la retta via e ogni decennio che trascorre, lo rende sempre più un figlio di cui io possa essere davvero fiero, quanto tu lo sei del tuo meraviglioso Ivar. Anghela rimane la mia gioia più grande. La sua bellezza, la sua dolcezza e le sue incredibili doti artistiche fioriscono e allietano tutte le mie giornate.

Ora bando ai lieti convenevoli! Veniamo alla questione che ha reso urgente questa mia missiva.

Gravi eventi sono occorsi oltreoceano, Amico mio! Eventi che hanno drammaticamente teso una corda già troppo tirata.

Anluan avrebbe voluto recarsi di persona da te, ma è bene che rimanga a Londra. Questa mia missiva ti arriva con il benestare dell’intero Concilio. Siamo certi che tu sarai del nostro medesimo avviso.

A Boston, in febbraio, il 22, un giovane che risponde al nome di Christopher Seider è rimasto ucciso durante alcuni tafferugli nati a seguito delle questioni legate ai tentativi di boicottaggio delle merci inglese, di cui so tu sei al corrente.

Una vita umana ai nostri occhi vale certo ben poco, in genere, ma non questa, temo! Ha inasprito una situazione già difficile e il Caos è sempre in agguato.

All'inizio della serata del 5 marzo, in King Street, di fronte alla postazione di un soldato inglese, davanti al palazzo della dogana, si sono scatenati una serie di scontri che ha incrinato del tutto la già fragile situazione.

Un giovane, un apprendista parruccaio, tale Edward Gerrish, ha iniziato a gridare contro un tenente capitano, accusandolo di non aver pagato il conto del suo datore di lavoro. L’inglese ha ignorato gli insulti e Gerrish se ne è andato, per fare però ritorno un paio d'ore più tardi con alcuni compagni. La situazione è, come immaginerai, degenerata, anche perché altre persone si sono unite al capannello e hanno iniziato a tirare palle di neve contro i soldati inglesi.

Non trovi che la Storia sia beffarda?

Palle di neve!

Arriverà il tempo in cui siederemo ricordando questi giorni e tutto ciò che ne seguirà, ripensando a come tutto sia iniziato da una battaglia di palle di neve.

Gerrish e i suoi compari hanno pensato bene di iniziare a insultare anche il soldato inglese di guardia al palazzo della dogana. Questi ha lasciato la sua postazione e ha affrontato il parruccaio, percuotendolo in testa con il moschetto. Un compare di Gerrish si è messo a quel punto a questionare con il soldato e la disputa non ha fatto che attirare sul posto una gran folla.

A quel punto è intervenuto il capitano del vicino corpo di guardia, con il suo attendente e alcuni soldati. Tutti armati di baionetta!

Non è chiaro come sia evoluta la situazione, sta di fatto che alla fine, dopo accese provocazioni durate un tempo non chiaramente definito, i soldati inglesi hanno aperto il fuoco contro la folla. Tre americani sono rimasti a terra! Il cordaio Samuel Gray, il marinaio James Caldwell e un altro marinaio, Crispus Attucks.

Troverai inusuale l’attenzione e la precisione con cui ti ho riportato i dettagli e i nomi, ma questo evento, che in molti già chiamano addirittura il Massacro di Boston, sta avendo conseguenze più grandi di quanto ci dovremmo auspicare! Sono certo che ne leggeremo sugli Annali della Storia nei secoli a venire.

Le autorità inglesi hanno rimosso dal centro di Boston tutte le truppe e le hanno asserragliate a Castle Island.

Come Anluan temeva, il malcontento verso Re Giorgio sta diventando pian piano ribellione.

L’evento di Boston è assai poco chiaro nella sua dinamica. Si parla persino di colpi provenienti da posizioni ben diverse di quelle inglesi! Di certo possiamo dire che è un evento che porta molto favore alla causa di alcuni.

I Figli della Libertà stanno ampiamente strumentalizzando i fatti a proprio vantaggio. Samuel Adam sta riempiendo Boston di libelli contro la madrepatria.

Lilith ha fiutato il sangue, Lucius, e ha espresso la volontà di salpare per Nuova Amsterdam (sì lo so, Amico mio! Ormai è New York, ma l’essermi trasferito nella città dei gemelli mi ha reso, temo, un po’ troppo olandese. Perdonami questa debolezza tutta umana).

Anluan è riuscito a farla desistere dall’intento. Dobbiamo sincerarci che i vampiri delle Colonie Americane restino neutrali ed estranei agli eventi umani che stanno destabilizzando tutta l’area. Lilith non sarebbe l’animo più adeguato a gestire una situazione tanto delicata! Ne converrai con noi.

Anluan non è affatto contento di come il Parlamento inglese stia gestendo l’affare con le Colonie. È certo che non ci sarà un’evoluzione pacifica della questione e vuole che uno di noi Antichi vada là e tenga a bada gli animi dei vampiri.

Sai che non ha mai del tutto perdonato a Sir Hanry Flucker il tentativo di scalzarlo dal controllo dei territori del Nord Europa. Lo ha considerato un tradimento e non si è mai fidato del tutto del suo pentimento. Immagino che tu in questo momento stia ridacchiando, Amico mio, ma io condivido la diffidenza di Anluan. Penserai che abbia ragioni personali anche io, lo so benissimo! Quasi lo vedo il tuo sorriso allargarsi. Flucker era a bordo di una delle quattro fregate inglesi che nel 1664 occuparono Nuova Amsterdam, rendendola la colonia inglese di New York. Ho perso alcuni fruttuosi investimenti, in quell’occasione, ma… il mio cuore si sarà anche avvicinato agli interessi olandesi, tuttavia non così tanto da farmi dimenticare chi sono!

L’Alleanza vuole che tu parta per il Nuovo Mondo, Lucius.

Sarai la Mano del Concilio. Ritieniti libero di fare tutto ciò che reputerai necessario per mantenere la situazione sotto controllo. È necessario rinsaldare i legami con i vampiri americani prima che la frattura, che si sta creando nel mondo degli effimeri, si estenda con conseguenze drammatiche anche a quello dei vampiri.

Hai la nostra totale fiducia. Come sempre.

Vi aspetto ad Amsterdam. Ho già provveduto a cercarvi un passaggio per le Americhe fra un mese a partire da oggi. Scrivimi se hai bisogno che io provveda ad altro per garantirvi una traversata serena e sicura.

A presto. Teocrate di Atene.»

Lucius abbandonò la missiva sul piccolo scrittoio in legno laccato e la scrutò cupo, prima di alzarsi con un lungo sospiro irritato.

Uscì dal proprio cabinet rivestito in pannelli di raso azzurro con pesanti decorazioni dorate e si incamminò verso il salotto verde, da dove provenivano le risate delle sue amate vampire.

Bussò con discrezione e attese un invito per entrare.

Niccola lo accolse subito con un sorriso dolcissimo che dissipò parte del suo malumore. Justine si alzò dalla sedia su cui era accomodata a giocare a scacchi insieme a Ivar e gli si fece incontro, gettandogli le braccia al collo.

“Che cosa rende così cupo il tuo bellissimo volto, mio Signore?”

Lucius le sfiorò le labbra con un bacio, si separò da lei e andò a sedere accanto a Niccola, sul divanetto più vicino al camino, dove il fuoco languiva stanco.

Lo sguardo scuro del Romano incrociò quello di Ivar che ne condivise subito la preoccupazione, pur non conoscendone l’origine.

“Dobbiamo lasciare Parigi.

È giunto il tempo di prendere quella barca che, a causa mia, non prendesti, Mon Solei

“È una notizia meravigliosa! Non capisco perché tu sia così cupo”

Ivar intervenne consapevole di quali ragioni potessero preoccupare Lucius, più di quanto sembrasse esserlo Justine.

“Dove andiamo?”

“L’Alleanza ritiene necessario che uno di noi si rechi nelle Colonie inglesi d’America per tenere a bada i vampiri mentre gli effimeri giocano alla rivolta.

Anluan e Teocrate ritengono che io sia il più qualificato per questo compito.

Il nostro passaggio salperà da Amsterdam fra un mese”

“È un viaggio lungo”

“Sì, Ivar, lo è! E non è solo la lunghezza del viaggio a preoccuparmi.

Laggiù saremo i benvenuti solo in apparenza, temo”

Lucius scrutò assorto le sue vampire e Niccola iniziò a scuotere il capo con un irresistibile broncio caparbio.

“Non intendo separarmi da te!”

Per sottolineare l’ostinazione della propria intenzione, gli afferrò una mano portandosela in grembo con fare possessivo.

“Mia Adorata, sarei più tranquillo di sapervi ad Amsterdam con Teocrate, piuttosto che laggiù con me.

Non sappiamo come andranno le cose, ma di certo so che Sir Hanry Flucker non sarà affatto felice del mio arrivo. Ha coltivato la sua piccola corte personale nelle Colonie e finora gli è andato bene il controllo formale dell’Alleanza sulle loro esistenze.

Adesso è venuto il momento di mettere da parte le formalità e dubito che troverò la disponibilità che spero. Inoltre il viaggio è lungo e comporta una serie di… difficoltà dalle quali vorrei preservarvi”

“Tutti motivi per cui tu avrai bisogno di noi con te, Lucius!”

“Jigì ha ragione! Forse io e lei non potremo mai eguagliare la protezione che ti offre Ivar, ma facciamo parte della tua forza e, di certo, se andrete solo voi due, Ivar dovrà provvedere al tuo vigore da solo e arriverà nel Nuovo Mondo troppo debole per proteggerti come potrebbe essere necessario”

“Lucius” Ivar lo richiamò inquieto “Vorrei poter dire il contrario, ma Niccola ha ragione! Per mantenerti in forze durante il viaggio, sarei pronto a darti il mio sangue, quanto fosse necessario! Ma mi indebolirei parecchio e mi ci vorrebbero settimane per recuperare a pieno le forze, una volta arrivati. Non ti sarei di alcun aiuto laggiù, se ce ne fosse bisogno.

Porteremo con noi i famigli della cui fedeltà siamo più certi, ma non saranno sufficienti a sostentarci per i due mesi di viaggio, nemmeno se dessero la vita per farlo! Senza parlare del fatto che morti misteriose di quel tipo, su una barca, attirerebbero troppo l’attenzione.

Avrai bisogno del sangue di Niccola e di Justine per mantenerti in forze”

L’espressione di Lucius si fece ancora più cupa. Recuperò la mano dal grembo della vampira e si appoggiò allo schienale imbottito del divanetto con un lungo sbuffo infastidito.

Justine si inginocchiò davanti a lui e si appoggiò alle sue ginocchia con un sorriso civettuolo.

“Saremo noi la tua forza per il tutto il viaggio! Sarà un onore.

In questo modo tu e Ivar arriverete a New York nel pieno della vostra potenza e non ci sarà vampiro che oserà ribellarsi alla tua auctoritas”

Lucius si voltò a studiare con aria critica il volto radioso di Niccola. Sapeva anche lui che non c’era una soluzione più sicura di quella che gli stavano prospettando, ma aveva giurato a sé stesso che non avrebbe mai più permesso che la sua adorata Madonna si indebolisse a causa sua. Ancora una volta gli tornò in mente la figura misera, coperta di stracci, abbandonata ai piedi della porta di marmo di quella dannata cappella nera, memento del dolore che lui le aveva arrecato, immagine della tragedia che lui le aveva inferto: la pelle sottile come pergamena, i capelli secchi e scoloriti come paglia, gli occhi… quegli occhi velati dalla fine.

Niccola, consapevole dei suoi pensieri, sollevò le mani sulle sue guance ispide e gli sorrise di quel suo sorriso incantevole.

“Starò bene e sarò onorata di prendermi cura di te come tu lo fai di me, mio Signore”

“Ti indebolirai troppo”

“Non accadrà, lo sai. È solo ciò che tu temi, ma non accadrà, non in due miseri mesi!”

“Lucius, Niccola ha ragione e poi… Beh appena sbarcheremo chissà quanti poderosi marinai ci saranno nel porto di New York pronti a offrire i loro servigi per noi!

Mhmm quasi quasi ne sento già il profumo! Salsedine, birra e maschio!”

Niccola voltò un’occhiata traversa verso la sorella che ridacchiava eccitata.

“Magari per te, Mea Domina, troveremo qualcosa di meno selvaggio” esclamò Ivar avvicinandosi a lei e sedendosi sul bracciolo del divanetto con un sorrisetto che contagiò anche Lucius.

Vale! Dunque partiremo.

Ivar, per favore, informa Gustav del viaggio, affinché appresti tutto ciò che sarà necessario. Digli che porteremo con noi otto dei suoi più fidati collaboratori, più lui. A me basteranno i suoi servigi, voi vi dividerete gli altri, tu, Ivar, uno più delle nostre Signore. In questo modo nessuno si indebolirà eccessivamente, né noi né loro”

“Consideralo fatto”

Il 24 giugno del 1770 Lucius, il suo Clan e nove esseri umani facenti parti del loro seguito si imbarcano da Amsterdam sul Frau Maria, un fluyt battente bandiera olandese. Si trattava di un veloce veliero a tre alberi, con grandi vele quadrate, studiato per il trasporto marittimo di grossi carichi e disegnato per facilitare il viaggio transoceanico.

Il 15 agosto, dopo due mesi di spensierata navigazione attraverso l’Oceano Atlantico, senza incontrare particolari problemi, Lucius sbarcò a New York.

Ad attenderlo, alla fine del molo a cui la Frau Maria aveva attraccato, il Murrays Warf, trovò una delegazione guidata da Sir Flucker in persona, che lo accolse con un impeccabile inchino.

“Milord, benvenuto a New York”

I due vampiri si squadrano.

L’Inglese vestiva in modo ricercato e raffinato e spiccava molto fuori luogo sulle popolane banchine del porto. Indossava una marsina di seta color oro che si abbinava ai calzoni abbottonati appena sotto al ginocchio e a un impeccabile gilet aderente che portava sotto alla lunga giacca lasciata aperta. Non portava parrucca, ma aveva acconciato i lunghi capelli castano chiari con impeccabile formalità. Non una ciocca sfuggiva alla rigida treccia che terminava fra le scapole, fermata da un sottile nastro dorato. La perfezione del suo stile era abbagliante.

Lucius appariva decisamente meno impeccabile nel confronto, reduce dal lungo viaggio per mare. Era sbarcato lasciando persino i folti capelli sciolti e spettinati in una chioma leonina schiarita dal sole e dalla salsedine. Si era costretto a indossare un gillet di pelle conciata, ma aveva rifiutato la lunga marsina. Ivar, accanto a lui, sembrava più un contrabbandiere incallito che un nobile appena arrivato dalla Corte di Versailles.

Sir Flucker si aggiustò il fulard che portava intorno al collo, nonostante la terribile canicola estiva, e la sua attenzione venne catturata tutta dalle due avvenenti vampire che si accostarono a Lucius.

Erano una visione incantevole, il tramonto scarlatto come il sangue e la notte oscura come la tentazione.

Erano avvolte nelle sete più pregiate e riparate da due parasole in raffinato pizzo di raso con i manici in leggero bambù.

Lucius osservò impassibile lo sguardo di ghiaccio di Sir Hanry spostarsi con grande interesse da Niccola a Justine e viceversa.

Il volto spigoloso dell’Inglese venne attraversato da un sorrsso sottile e tagliente che lo rese ancora più affascinante.

“Sir Flucker, vi ringrazio per l’accoglienza. Sono lieto di incontrarvi ancora.

Vi rcorderete di Ivar e di Niccola, immagino. Ho invece il piacere di potervi presentare Justine de Mornet, la più recente delle mie Principesse”

“Milord, sono incantato dalla bellezza delle vostre Principesse! Sono entrambe una visione angelica e insieme una tentazione irresistibile”

“Confido che saprete resistervi, Sir Flucker”

L’Inglese gli rispose con un inchino e un sorrisetto che Lucius non avrebbe definito esattamente condiscendete.

“Sir Hanry, Milord, solo Sir Hanry. In questo Nuovo Mondo ho dato un taglio con tutto ciò che di… antico ho portato con me dall’Europa. Mi conoscono tutti come Sir Hanry l’Inglese”

L’espressione di Lucius rimase impassibile di fronte all'ambigua dichiarazione del vampiro e si limitò a fargli un cenno con il capo.

“Le mie Signore hanno bisogno di nutrirsi, Sir Hanry. Sono certo che avrete predisposto un’adeguata sistemazione per noi”

“Assolutamente! Farò reperire per le vostre Principesse qualunque cosa dia loro maggior piacere e soddisfazione.

Tu!”

L’Inglese si rivolse feroce a un uomo mingherlino e impaurito che si era fermato qualche passo dietro a lui, circondato da quattro uomini che avevano tutta l’aria di essere scavezzacollo degni delle peggiori bettole. L’uomo si affrettò ad accostarsi al vampiro, avendo cura di tenere sempre lo sguardo fisso ai propri piedi e la testa ossequiosamente china.

“Occupati dei bagagli dei miei ospiti e delle formalità doganali, e del loro seguito-

Poi raggiungici nel Palazzo di New Street.

Milord, soggiorneremo nella mia umile dimora qui in città, non lontano dal Palazzo del Governatore”

“Perfetto”

Sir Hanry si fece da parte facendo cenno a Lucius di seguire i suoi quattro scagnozzi e subito gli si accodò, precedendo Ivar e le vampire, non prima di aver indirizzato un intrigante sorriso a entrambe.

Qualche ora più tardi, con tutti i famigli sistemati e rifocillati a dovere, con i loro bagagli nelle stanze che erano state loro destinate, cambiati e saziati, Lucius accettò di incontrare da solo Sir Hanry nel suo studio.

L’inglese lo aspettava sull'ampio terrazzo, accanto al parapetto in legno, e lo accolse con un cenno elegante invitandolo a raggiungerlo.

Il Romano attraversò la stanza e lo raggiunse all'aperto.

Notò una fanciullina raggomitolata in terra, in un angolo della squadrata balconata. Tremava, con le braccia raccolte attorno alle ginocchia; aveva lunghi capelli biondi, spettinati, e un aspetto trasandato e misero.

“Lei è Poulette” esordì Sir Hanry, notando lo sguardo accigliato di Lucius puntato sulla ragazzina “Non mi ricordo molto spesso i loro nomi, ma lei merita una menzione speciale!

Il suo sangue è un bouquet di sapori eccitanti e il suo corpo emana un profumo delizioso. Mi piace averla intorno, mi stimola e mi rende più… dinamico… vitale.

È una continua tentazione che non mi lascia mai abbassare la guardia.

Dovreste provarla. Sono molto possessivo, ma, per voi, Milord, farei sicuramente un’eccezione!”

“Siete generoso, Sir Hanry, ma sono a posto. Grazie”

Lucius voltò le spalle alla giovane, celando dietro a una maschera d’impassibilità il disgusto che provava per un simile sprezzo della vita umana.

“Posso immaginare”

Il sorrisetto allusivo dell’Inglese lo lasciò indifferente.

“Vi siete sistemato bene, qui a New York, Sir Hanry”

“Non mi lamento. Sono arrivato che si chiamava Nuova Amsterdam, ma noi inglesi amiamo portare un po’ di casa nostra ovunque andiamo”

“E il tè non vi sarebbe bastato?”

“No, probabilmente no!”

“Ho sentito che la vostra fortuna è cresciuta molto, qui nelle Colonie. Molti vampiri vi apprezzano e si rivolgono a voi come a una… guida”

“Mi lusingate, Milord! Ma sono solo un vecchio vampiro. È normale che si rivolgano a me. È difficile trovare vampiri con la mia stessa esperienza qui nelle Americhe. Siamo in pochi ad avere più di un secolo alle spalle e ancora meno ad aver incontrato di persona voi Antichi e a conoscere la forza dell’Alleanza”

“Sono lieto che ricordiate la forza dell’Alleanza.

Vi porto i saluti di Anluan, che si ricorda molto bene di voi”

L’espressione di Sir Hanry si offuscò per un istante e non riuscì a trattenere un cenno di agitazione del capo.

“Sì. Immaginavo che l’Irlandese conservasse memoria di me. Inutile che io mi nasconda dietro a un dito, giusto?”

“Giusto”

“Apparirei un idiota, soprattutto se lo facessi con voi!

Ho fatto un’immane idiozia allora, ma riconoscetemi almeno il merito di aver seguito con onestà la mia ambizione e aver riconosciuto, con altrettanta onestà, i miei limiti”

Di nuovo il volto del vampiro venne addolcito da un sottile sorrisetto che disturbava Lucius più di quanto avrebbe fatto una smorfia di aperta ostilità.

“Siete stato accorto, di sicuro, e sufficientemente prudente da non fare quel ultimo passo che avrebbe causato la vostra rovina”

“Ho pagato il prezzo del mio errore con questo mio esilio volontario”

“Un esilio dorato”

“Amo il lusso e godo della vita, non credo me ne possiate fare una colpa”

“Godete la vita?”

“Assolutamente! Adoro circondarmi di vita”

Lucius si voltò a scrutare la ragazzina ancora rannicchiata in un angolo, tremante e impaurita.

“Lo vedo!” esclamò con una nota amara prima di tornare a guardare Sir Hanry “Vi siete circondato di esseri umani, ma non ho visto vampiri al vostro fianco”

“I miei vampiri non sono al mio fianco. Ho scelto di legare a me per Diritto numerosi vampiri, ma preferisco che essi stiano là dove possono prendersi cura dei miei interessi e delle mie relazioni, piuttosto che tenermeli gelosamente accanto. Mi sono più utili lì dove si trovano.

In ogni caso ho molti amici, ve lo garantisco, e non mi manca sangue: giovane o vissuto, forte e fresco, virgineo e puro o stuzzicante e inverecondo, di ogni colore e sapore, tutto quello che voglio.

Ottengo sempre ciò che desidero”

“Non ne dubito, tuttavia quel sangue non vi può dare la forza che serve a un vampiro per essere l’Egemone”

Sir Hanry si voltò a guardare i tetti di New York con un lungo sospiro assorto, prima di tornare a fissare su Lucius un’espressione soddisfatta che gli diede i nervi.

“In tutta sincerità, Milord, non mi interessa essere l’Egemone.

I vampiri di questo Mondo non sanno nemmeno cosa sia un Egemone. Da queste parti sono la ricchezza e le abilità diplomatiche che fanno la differenza, sono i buoni o i cattivi accordi a tessere una trama di amicizie più o meno durature. Sono questi legami ad aver fatto la mia fortuna.

Io sono un abile diplomatico, non certo un grande guerriero, sicuramente lo sapete”

Lucius gli fece un assenso.

“In ogni caso, ne sarete sorpreso, non mi serve il Diritto di Sangue per ottenere sangue dai vampiri che mi sono amici”

Lo sguardo di Lucius s’incupì.

Il fatto che ci fossero vampiri disposti a sottoporsi al supplizio di offrire il proprio sangue a Sir Hanry, pur non godendo del sollievo del Diritto, non era affatto una buona notizia. Confermava del tutto lo strapotere che l’Inglese aveva conquistato nelle Colonie e la sua potenziale pericolosità, se si fosse arrivati a un’aperta ostilità.

“Mi lusinga che l’Alleanza veda in me l’Egemone di questi turbolenti territori”

“La vostra influenza è notevole fra i vampiri, come mi state confermando voi stesso”

“E non solo fra la nostra gente. Ho molti amici fra gli Effimeri, sia inglesi che americani, anche se le idee di questi ultimi sono decisamente più intriganti”

“Immagino sappiate, Sir Hanry, che l’Alleanza non vuole alcun coinvolgimento della nostra gente nelle faccende umane.

Gli Effimeri devono farsi la propria storia da soli, senza influenze esterne”

“E voi concordate con questa linea, Milord?

Non trovate che un intervento da parte dell’Alleanza, in determinate occasioni, avrebbe forse risparmiato sofferenze alla nostra gente più dell’aver scelto di restarne fuori?”

“Più i vampiri resteranno lontano dagli affari degli Effimeri, meno daremo nell’occhio, più probabilità di sopravvivere avremo”

“Sopravvivere”

Sir Hanry ripetè meditabondo, tornando a fissare i tetti della città.

“Sopravvivere per l’eternità? Un destino che sa di amaro”

“Non mi sembra che il vostro destino abbia alcunchè di amaro. C’è forse qualcosa che vi manca?”

L’Inglese si voltò verso il Romano, scrutandolo come se gli avesse chiesto un’ovvietà.

“La libertà di essere ciò che sono”

Lucius si accigliò, incrociando le braccia sul petto.

“Dovreste essere più prudente, Sir Hanry! Qualcuno potrebbe travisare le vostre parole e ritenere che possano essere dichiarazioni ostili all’Alleanza”

Il vampiro allargò le braccia con aria innocente e le sue labbra sottili si stiracchiarono in un sorrisetto ambiguo, ma non proferì alcun suono, mettendo a dura prova la pazienza di Lucius.

“È così che devo interpretarle?”

“Milord, la mia fedeltà va a coloro che garantiscono gli interessi della mia gente, sempre!” gli assicurò con un inchino prima di raddrizzarsi e fissarlo dritto negli occhi “Tuttavia…

I tempi cambiano, la Storia passa, le società mutano e gli eventi accadono.

Se non sviluppiamo la giusta abilità nell'adeguarci a ciò che capita attorno a noi, potremmo non renderci conto di quali sono davvero gli interessi della nostra gente”

“Trovate che gli Antichi abbiano peccato in qualcosa, finora?”

“Finora forse no, ma non ci siamo mai trovati di fronte a situazioni tanto… radicali come ciò che sta accadendo qui”

“Sir Hanry” Lucius lo richiamò con un sorrisetto che ebbe l’effetto di inquietare il vampiro forse più di qualunque minaccia avrebbe potuto fargli “Fra meno di un secolo compirò il mio duemillesimo compleanno. Ritenete davvero che non abbia mai assistito prima a mutamenti radicali in tutto questo tempo?”

Mise l’Inglese in profondo disagio, tanto che non riuscì a trovare nulla da rispondergli e si limitò ad assentire rigido.

“Gli Effimeri fanno e disfano a proprio capriccio.

Sono capaci di creare cose incredibili, come di distruggere il meglio che possiedono.

I Regni nascono e scompaiono, i Re passano, le monarchie si estinguono, ma noi siamo ancora qui! E lo saremo anche dopo, se lasceremo che gli esseri umani facciano il loro corso”

“Ma certo! Su questo siamo assolutamente d’accordo, io e voi”

“Su cosa, quindi, non siamo d’accordo?”

Sir Hanry si umettò le labbra sforzandosi di celare il proprio disagio. Sapeva di dover prestare grande attenzione a come esporre al Romano le proprie idee per riuscire a raggiungere i propri obbiettivi senza indisporlo. Immaginava con certezza le motivazioni che avevano portato l’Alleanza a inviarlo oltreoceano, ma, per il momento, doveva mostrarsi condiscendente e accomodante con lui più di quanto ritenesse ragionevole.

“Io non potrei mai essere in disaccordo con voi, Milord!

Ciò che intendevo dire, e temo di non aver chiarito, è solo che ritengo sia fondamentale comprendere le ragioni degli eventi che stanno accadendo a Boston e nel resto delle tredici Colonie per poter stabilire con assoluta certezza quale sia l’interesse dei vampiri che risiedono qui!

Converrete con me che farlo dal Vecchio Continente è pressochè impossibile.

Il nostro beneamato e avveduto Anluan, da Londra, non può certo aver chiare le istanze degli americani, ma conoscerà alla perfezione quelle degli inglesi, temo. Questo potrebbe alterarne il discernimento relativamente a ciò che è negli interesse dei vampiri di qui”

“Il discernimento del nostro avveduto Anluan funziona alla perfezione, non abbiate alcun timore.

L’interesse dei vampiri americani, come quello di qualsiasi altro vampiro, resta quello di star fuori dalle questioni umane”

“E se io vi dicessi che i vampiri americani, tanto quanto gli esseri umani di queste terre, hanno molto a cuore la questione dei rapporti con la Gran Bretagna?”

Sir Hanry sostenne lo sguardo cupo di Lucius.

“Le cose da queste parti funzionano in modo diverso, rispetto a quanto accade nel Vecchio Continente.

Qui nelle Colonie i vampiri condividono molti interessi con gli Effimeri ed è inevitabile che siano propensi a prendere posizione nelle loro faccende.

Temo che sarebbe un errore imporre loro di disinteressarsi a quanto sta accadendo. Sarebbe come chiedere loro di disinteressarsi dei propri affari.

Ritengo invece che sarebbe considerato un segno di grande valore la vostra attenzione nei confronti degli eventi che stanno infiammando la città di Boston”

“Mi state suggerendo di schierarmi apertamente a favore delle rivolte contro il Parlamento Inglese?”

“No, cero che no! Non sarebbe saggio.

Non possiamo sapere quali saranno gli sviluppi della situazione. È necessario che noi non si prenda alcuna aperta posizione a favore dell’una o dell’altra parte.

Questo è ben chiaro ai nostri, ma non possiamo fingere che non stia accadendo nulla!

Se le rivolte di Boston e delle altre Colonie dovessero evolvere in qualcosa di più radicale, a cose fatte, la nostra presenza, seppur da semplici spettatori, verrà apprezzata dai nostri vampiri tanto quanto dagli effimeri che stabiliranno le regole del gioco nei prossimi decenni, siano essi ancora inglesi o i nuovi americani.

Al momento Boston è il teatro più attivo di queste proteste che stanno mutando in rivolta. Io credo che la nostra presenza in città potrebbe avere un duplice vantaggio. Dimostrerebbe quanto l’Alleanza abbia a cuore gli interessi dei vampiri americani e al contempo ci permetterebbe di tenere a freno quei cuori più intraprendenti fra i nostri che potrebbero voler fare qualcosa in più che mostrare la propria simpatia ai rivoltosi”

“Quindi il vostro consiglio è di trasferirci a Boston?”

“Sì, nel cuore della tempesta per controllarla da vicino”

Lucius scrutò meditabondo il panorama di tetti in legno che si apriva di fronte a loro e spaziava fino al porto, fingendo di non cogliere l’imapzienza che rendeva ansiosa la postura dell’Inglese.

Vale, Sir Hanry!

Trasferiamoci a Boston. È imperativo che nessuno dei nostri si faccia coinvolgere in alcun modo in questa rivolta.

Confido che impiegherete tutta la vostra influenza sui vampiri delle Colonie affinchè venga rispettata la volontà dell’Alleanza”

“Avete tutto il mio impegno”

Il sorriso sottile dell’Inglese appariva del tutto sincero e non tradiva nulla di quali potessero essere i suoi pensieri più reconditi.


1770. Boston.


Lucius e i suoi vampiri si trasferirono nella dimora di Sir Hanry a Boston nell’estate di quel 1770.

L’Inglese dimostrò fin da subito la propria apparente disponibilità a supportare Lucius in qualunque sua scelta.

Lo introdusse nel salotto del Governatore Thomas Hutchinson, un americano di quinta generazione ma devoto lealista alla Corona Inglese, tanto quanto in quello del ricco mercante americano John Hancock, un raffinato aristocratico, amante del lusso e delle comodità, divenuto stranamente molto popolare tra la gente comune di Boston.

Sir Hanry era in ottimi rapporti sia coi lealisti che con i ribelli americani e intratteneva, con abilità, relazioni economiche con entrambe le fazioni.

Per due anni Lucius e il suo Clan rimasero a Boston, frequentando i salotti buoni della città insieme a Sir Hanry, incontrando alcuni dei vampiri più in vista delle Tredici Colonie.

“Aspetta, Justine! Rallenta il passo! Ma dove stiamo andando!?”

Niccola trattenne la sorella per un braccio.

Si trovavano in una strada poco illuminata, vestite come se dovessero partecipare a una festa in casa di qualche ricco mercante e Jigì appariva eccitata e impaziente.

L’aveva trascinata fuori di casa, quasi come una ladra, senza dirle nulla, se non che doveva assolutamente accompagnarla in un posto.

“Siamo quasi arrivate! Dai dai! Cammina”

“Ma arrivate dove?”

“Svoltiamo e lo vedrai!”

Justine le afferrò il polso della mano con cui lei l’aveva trattenuta e riprese il cammino. Svoltarono oltre l’angolo di una edificio in legno che aveva l’aria di un magazzino e si ritrovarono in una strada identica a quella che avevano appena lasciato.

Niccola aprì le braccia esasperata, fissando la sorella in attesa di una risposta. Justine sbuffò e le indicò un’insegna a una ventina di passi da loro, che sarebbe stata invisibile agli occhi di un comune essere umano a causa della scarsa luce che illuminava la via.

“Una taverna? Davvero?

Tutto questo trambusto per venire in una taverna? E vestite così eleganti?!

Sei in cerca di guai?”

“Non è una taverna! È il Drago Verde di Marshall Street!”

“Il Drago Verde?”

Niccola si portò una mano sul cuore sbirciando la sorella, intuendo cosa stesse davvero tramando.

Avevano sentito citare il nome di quel luogo parecchie volte negli ultimi mesi, sussurrato in molti salotti cittadini, ora con disprezzo, ora con curiosità, ora con paura.

“Justine!?

Non credo che dovremmo farlo”

“Io invece sono più che convinta che dobbiamo!”

Senza aspettarla, Justine si avvicinò alla porta della taverna e ne afferrò la maniglia.

“Justine, aspetta! Lucius non sarebbe affatto contento di sapere che siamo venute qui!

Questo non è star fuori dalle questioni della rivolta”

“Se possiamo frequentare il salotto di Hancock insieme a lui, Ivar e Sir Hanry, beh possiamo anche venire qui.

Io voglio ballare un po’ di sfrenata musica gaelica e qui mi dicono che ne suonano di ottima.

Avanti!”

Così dicendo Justine aprì la porta e si infilò all’interno, costringendo Niccola, riluttante, a seguirla.

L’interno era chiassoso e allegro, illuminato da molte lucerne e allietato dalla musica suonata da un gruppo di alticci irlandesi.

L’ingresso delle vampire venne notato da tutti i presenti, quasi esclusivamente uomini. Justine non si lasciò intimidire dai molti sguardi che si puntarono su di loro e si avvicinò spensierata al bancone coperto da macchie di birra scura e avanzi non meglio identificati. Niccola affrettò il passo dietro alla sorella, sforzandosi di ignorare l’imbarazzo che minacciava di farla incespicare. Trattenne d’istinto il respiro, stordita dall’intensità degli odori di quel pittoresco luogo.

“E voi due? Vi siete perse, belle signore?”

L’oste, un rubicondo omone pelato con buona parte del volto coperto da una folta barba bianchiccia, le accolse scrutandole con un’espressione a metà fra l’ironico e l’incredulo.

Justine gli fece uno dei suoi più straordinari sorrisi e l’uomo, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto far altro che sciogliersi ai suoi piedi.

“Salve, buon locandiere! Siamo assetate. Cosa hai da offrire a due fanciulle tormentate dalla sete?”

Niccola sollevò lo sguardo alle travi del soffitto scuotendo il capo per l’allusione della sorella e osservò incuriosita la reazione dell’oste che si affrettò a riempire due bicchierini di un liquido ambrato, dopo averli frettolosamente puliti.

“Ecco, ecco! Questo è per voi! Vi scalderà le budella in questa già troppo fresca nottata!”

Due uomini, che avevano l’aria di marinai sfaccendati, si avvicinarono a Justine baldanzosi. La vampira li accolse sorridendo, fingendo di non aver colto le loro intenzioni, ma l’odore della loro eccitazione si avvertiva a distanza, e non erano i soli!

“Buonasera, signori”

“Sei sicura che quello lo reggi?” le domandò il più alto dei due, un corpulento scozzese con due folti bafoni scuri e gli occhi castani febbricitanti.

Justine mise il broncio sollevando il bicchierino per esaminarne diffidente il contenuto. Si voltò di scatto verso l’uomo e gli sorrise di nuovo.

“In effetti… bevilo tu! E poi fammi ballare, chissà! Magari più tardi troverò il modo per assaporarlo anch’io”

La vampira gli offrì il bicchierino e si appoggiò alla sua spalla. Inclinò il capo e lo fissò con una cupidigia che l’uomo fraintese. Ingollò d’un fiato il contenuto del bicchiere e afferrò Justine per un fianco, trascinandola fra i tavoli.

Niccola osservò sorridendo la sorella ammaliare più di un uomo, danzando sulle note sfrenate di un’allegra melodia irlandese.

Una voce profonda alle sue spalle la distolse improvvisa.

“Voi non ballate?”

Voltò il capo quel tanto che bastava per guardare l’uomo che le aveva rivolto la domanda.

Non era molto più alto di lei. Portava i lunghi capelli castani divisi sul capo con una riga perfettamente centrale e raccolti in un codino poco curato; aveva un volto ovale arricchito da numerose rughe d’espressione che gli conferivano carattere. Le labbra carnose erano incurvate in un sorriso appena accennato, quasi più simile a una bonaria smorfia di rimprovero. Indossava una camicia di lino bianco con le maniche ampie e i polsini rigidi e un gillet di spesso cotone color caffè.

“Non ballate?” le ripetè sollevando le sottili sopracciglia con fare incuriosito e porgendole una mano in quello che aveva tutta l’aria di un invito.

Niccola osservò la sua mano e di nuovo il suo volto, e gli sorrise.

“Mi state invitando?”

“Al Drago Verde non capitano spesso fanciulle come voi. Se non vi invitassi a ballare, me ne pentirei prima del sorgere dell’alba!”

“E se invece fosse proprio del fatto di avermi invitata, che vi pentireste prima dell’alba?”

“Siete inglese, Signora?”

“No affatto”

“Allora non v’è motivo alcuno per cui io possa pentirmi!” esclamò con un sorriso baldanzoso afferrandole una mano e trascinandola con sé al centro del salone dove Justine stava conquistando tutti coloro che aveva intorno, danzando sfrenata con il suo baffuto marinaio.

Niccola lasciò che lo sconosciuto le cingesse la vita, conducendola sui passi dell’allegra ballata.

Gli avventori della locanda spostarono alcune panche e fecero loro più spazio, iniziando a battere le mani a ritmo. L’atmosfera si fece presto famigliare e nessuno pareva più considerare le due vampire come un elemento inusuale o fuori luogo.

“Ballate come se non aveste mai fatto altro! Siete forse irlandese, Milady?”

Niky sorrise al suo sconosciuto cavaliere e, aggrappandosi alle sue spalle, si lasciò trasportare in volteggi concitati al ritmo della chitarra, del violino, della fisarmonica e del bodhran, il tipico tamburo irlandese.

“No, non sono irlandese, ma ho viaggiato molto e sono stata anche in Irlanda, Mister...?”

“Paul! Paul Revere. Sono il miglior incisore del Massachusetts! Possiedo un’oreficeria qui in città”

“Sì e anche una moglie che ti aspetta a casa! Vecchio volpone!” esclamò un uomo dai corti capelli scuri infilandosi fra lui e Niccola.

Sotrasse la vampira all’abbraccio di Revere, riportandola verso il centro dello spazio circolare fra i tavoli, mentre un compare offriva al ballerino abbandonato un boccale di birra.

L’incisore ridacchiò levando verso di loro il boccale e si spostò a sedere al limitare della piccola pista da ballo.

Niccola sorrise al suo nuovo cavaliere, di qualche anno più giovane del Signor Revere, e decisamente più audace. L’uomo la strinse fra le braccia facendola volteggiare e lasciò scivolare una mano verso il fondo della sua schiena, dove lo stretto copretto dell’abito di seta azzurra terminava lasciando aprire l’ampia gonna, e la serrò contro di sé, sfacciato.

Senza smettere di sorridergli, Niccola portò la propria mano alle spalle e afferrò il polso dell’uomo per costringerlo ad allentare la presa. Lo sconosciuto fece una smorfia e tornò a mantenere una più consona distanza da lei. Le prese le mani e la coinvolse in uno sfrenato girotondo forse con l’idea di farle perdere l’equilibrio. Invece fu lui a perdere la presa sulle sue mani e la vampira continuò a volteggiare in leggiadre giravolte, fino al margine della pista.

La ballata finì improvvisa con un’ultima nota e Niccola si fermò accanto a un tavolo con un lungo sospiro eccitato. Sistemò i capelli di rubino sfuggiti all’acconciatura e si raddrizzò, aggiustando la posizione del corpetto.

Solo allora si accorse del giovane che le era accanto, seduto al tavolo, davanti a una pinta di birra. Aveva un’ordinata chioma castana, scura, che gli sfiorava le spale, e due occhi di un tenue azzurro che la scrutavano incuriositi e ammirati.

“Salve” lo salutò divertita.

Il giovane si salzò in piedi e si ritrovarono molto vicini. Era più alto di lei e indossava una camicia azzurra e un paio di braghe marroni. Puzzava di tabacco e birra, ma aveva un lieve sentore di qualcosa d’altro che Niccola non fu in grado di identificare. Le regalò un sorrisetto mascalzone che sapeva di presunzione, circondato da un velo di barba incolta che gli dava un’aria sexy.

“Salve a voi, Miss…?”

“Niccola”

“Niccola e poi?”

“Niccola e basta!”

“Niccola e basta. Ok, come vi aggrada.

Posso?” le chiese sollevando le braccia.

Erano tanto vicini che la vampira si ritrovò circondata nel suo abbraccio e non ebbe bisogno di rispondergli. Il giovane la strinse a sé e la portò di nuovo al centro dell’improvvisata pista da ballo.

Era un ottimo ballerino. Ci vollero più di sei sfrenate ballate per convincerlo a una pausa.

Justine era sparita con il suo bel marinaio, appartata chissà dove a gustarsi la sua compagnia.

Il giovane sconosciuto portò Niccola a sedere al tavolo al quale Paul Revera stava bevedo in compagnia di un altro uomo dal profilo longilineo e allampanato. Aveva un’espressione bonaria che conquistò la vampira.

Niccola sedette accanto al suo giovane ballerino e salutò con un cenno del capo i due uomini. L’Oste portò loro due boccali di birra con un ossequioso inchino. Pareva che tutti al Drago Verde conoscessero i tre uomini con i quali sedeva.

“Non bevete?” le chiese il giovane, notandola allontanare da sé il boccale che l’Oste le aveva lasciato.

“No, non bevo birra, ma voi non fate complimenti a causa mia e brindate alla mia salute”

“Che non si dica che Paul Revere manchi un simile dovere! Signori?

Alla nostra misteriosa Milady!” esclamò l’argentiere levando il boccale, imitato dai due amici.

“A Milady!” esclamarono entrambi ingollando un’ampia sorsata di birra.

Il più giovane dei tre abbandonò il proprio boccale sul tavolo e appoggiò il viso nel palmo della mano osservandola intrigato.

“E così… Niccola!” esclamò sorridendole prima di avvicinarsi un po’ di più a lei e porgerle la destra “Io sono Samuel, ma tutti mi chiamano Sam!”

La vampira inclinò di lato il capo studiando la mano che le porgeva prima di accettarla e ricambiarne la stretta.

“Cosa fate a Boston, Miss Niccola?”

“E voi Mister Sam?”

“Io faccio il medico!”

La spavalderia della sua presentazione venne vanificata da una risata dei suoi amici. L’uomo dallo sguardo buono avvicinò il proprio boccale al suo, abbandonato sul tavolo, in un brindisi solitario.

“Ti piacerebbe, ragazzino! Dilla tutta, avanti!”

“E va bene!

Vedete Miss, questo è il dottor Warren e in questo momento è molto invidioso del fatto che io sieda qui accanto a voi e alla vostra avvenenza e perciò si sente in dovere di mettere in ombra le mie indiscusse doti di ottimo… beh sì… apprendista medico”

Niccola rise del tono pomposo che aveva assunto Sam per quella presentazione che profumava di ebrezza e luppolo e il giovane rise con lei.

“Miss devo essere onesto! Sam ha ragione!” intervenne il dottor Warren aggiustandosi con fare serioso il gilet lasciato slacciato sulla camicia di cotone bianco, prima di puntare contro di lei l’indice con un’espressione alticcia “Io sono il medico. Lui è il mio apprendista”

“Solo in questo ho ragione!?”

“Principalmente sì, ma posso anche aggiungere che in effetti sei un ottimo apprendista. Forse potrei sbilanciarmi affermado che sei il miglior apprendista che io abbia mai avuto!”

Revere ridacchiò battendo il pamo sul tavolo con un’imprecazione.

“Buon Dio, Joseph! Questo disgraziato, figlio di un poeta mancato, è l’unico apprendista che tu abbia mai avuto! Però è un ottimo cavadenti! Ma, Miss, i vostri denti sono perfetti in quel sorriso di rubino e perciò, Sam, mettiti l’animo in pace! Milady non ha bisogno di te!”

“Andiamo Revere! Ti accompgano a casa che sei sbronzo!” esclamò il dottor Warren alzandosi dal tavolo traballando un po’.

“Io sono ubriaco, eh!? Tu invece sei sobrio!”

I due uomini ridacchiarono aiutandosi a vicenda a mantenersi in piedi.

“Ragazzo! Domani mattina ti aspetto puntuale e fa’ il gentiluomo con Milady!

Milady, è stato un grande piacere”

“Anche per me, dottor Warren. Mister Revere, addio”

“Addio!? Ma assolutamente no! Conto e spero di rivedervi, Milady!”

Revere si congedò con un goffo inchino, allontanandosi verso l’uscita.

Niccola e Sam li osservarono uscire dal Drago Verde, salutando molti degli avventori.

“Sono due vecchi furfanti!” esclamò il giovane scuotendo il capo con un sorriso, ingolando un po’ di birra.

“Il vostro sorriso è pieno di affetto, Sam”

Il giovane la osservò sorpreso dalla riflessione.

“Sì. Sì è vero.

Sono due buoni amici di mio padre, soprattutto Warren. Sono cresciuto fra i suoi piedi”

“Vostro padre… il poeta mancato?”

“Ma quale poeta! Il Vecchio è un sognatore che fa l’unica cosa che possono fare i sognatori!”

“Qual è l’unica cosa che può fare un sognatore?”

Sam di nuovo la osservò intrigato dalla sua curiosità.

“Il politico” le rivelò con una smorfia soddisfatta godendosi lo scetticismo che riempì i meravigliosi occhi verdi della sconosciuta fanciulla “Vi ho sorpresa”

“In effetti non avrei pensato alla politica, quale attività di un sognatore”

“Dipende da cosa sogna il sognatore!”

“E vostro padre cosa sogna?”

Sam avvicinò il proprio volto al suo e le sussurrò con arroganza la risposta.

“Libertà”

Niccola inclinò il capo e il suo sottile sopracciglio scarlatto si incuneò.

“Un sogno pericoloso, di questi tempi”

“Forse. O forse no!”

“E voi, Sam? Anche voi sognate la libertà?”

“Io… io cerco la mia strada e con Samuel Adams come padre vi assicuro che non è facile!”

“Adams? Quel Samuel Adams?!”

“Ecco, lo conoscete anche voi! Proprio lui, quel Samuel Adams!

Siete forse una lealista, Miss?”

Niccola accennò un timido diniego osservando il giovane Sam sotto una luce diversa.

All’improvviso Justine si accostò a loro, aggiustandosi il corpetto sul florido decoltè.

“Niccola, Amore mio! Dobbiamo andare! Subito!

Si è fatto davvero tardi!”

Sam la scrutò incuriosito.

“Justine? Dov’eri?”

“Con Jack! Il marinaio Jack!” esclamò sporgendo le labbra in modo sexy prima di umettarle con la punta della lingua.

Niccola scosse il capo con un sorriso imbarazzato, ma l’espressione di Justine si fece subito severa.

“Adesso però devi alzare il tuo irresistibile fondoschiena da quela panca, salutare il tuo appetitoso amichetto e filare a casa con me, prima che Lucius venga a cercarci di persona!”

Sam notò gli occhi verdi di Niccola adombrarsi.

“Miss avete forse bisogno di aiuto? Questo Lucius è qualcuno che vi arreca danno?”

Le sopracciglia scarlatte della vampira si alzarono per la sorpresa.

“No… no Sam. Grazie per la vostra premura, ma Lucius è… lui… è il nostro tutore”

“Sì! Esatto Sam! Il nostro meraviglioso fantastico adorabile vecchio zio, che tuttavia non gradisce sapere che ce la spassiamo al Drago Verde a tarda notte, come puoi immaginare, Sam! Perciò adesso noi andiamo!

Ciao ciao Sam!”

Justine, ridacchiando per il disappunto che riempì il volto di Niccola, la afferrò per le spalle e la trascinò fuori dalla locanda. Le lasciò appena il tempo di salutare un incredulo Samuel che si alzò in piedi, sollevando una mano verso le due vampire in un patetico tentativo di trattenerle.

“Jigì! Sei stata riprovevole!”

“Niccola! Riprovevole? Huhu che terribile insulto. Ora mi metto a piangere”

La sorella la canzonò continuando a trascinarla per un polso lungo le vie buie e deserte.

“Non c’era bisogno di fuggire via così!”

“Avresti dovuto perder meno tempo a ballare e infilarti sotto un tavolo con il bel Sam… o sopra… un tavolo!”

“Justine!”

“Che c’è!? Io mi sono divertita un sacco. Anche se il povero Jack non aveva tutta la resistenza che ha tentato di darmi a intendere!”

“Sei scandalosa, come sempre”

“E tu banale, come sempre! Però ti sei divertita, non è vero?”

“Sì, certo che mi sono divertita! Ma tu hai capito chi era Sam?”

“Un bocconcino niente male?”

“Oltre a quello!” sbuffò Niccola osservando rassegnata lo sguardo malizioso della sorella “È il figlio di Samule Adams, il delegato della Boston House che tanto si prodiga per la rivolta contro le tasse inglesi”

“Sì sì, ho capito. Lucius, Ivar e Sir Hanry non fanno che parlare di lui. In ogni caso ballare con il figlio di un seidiozioso politico effimero non fa di te una patriota americana! Non significa che tu abbia preso una posizione nella rivolta contro l’Inghilterra! Hai ballato anche con quel tacchino del Governatore!”

“Ma che c’entra la rivolta adesso! Ero solo sorpresa di averlo incontrato”

“Pensavo ti stessi preoccupando di cosa potrebbe dire Lucius se sapesse dove siamo state”

“Lucius non sarebbe felice della cosa per partito preso, di questo puoi star certa! È convinto che ci sia per noi un terribile pericolo in agguato dietro a ogni angolo di ogni palazzo di Boston, e non è alla rivolta di Hancock e di Adams che rivolge i propri timori”

Justine aprì il cancello della dimora di Sir Hanry, lasciando passare Niccola e la seguì verso il portoncino.

Niccola aprì uno dei battenti in legno e sbirciò l’interno prima di entrare facendo segno alla sorella di seguirla.

Justine attese che richiudesse la porta e le prese la mano sorridendole complice tirandola con sé sulla scala che saliva alle loro stanze.

“Ha un che di conturbante vedervi sgattaiolare nella mia dimora così furtive!”

Le due vamprie sobbalzarono sentendo la voce di Sir Hanry.

Le scrutava restando nell’ombra, sull’ingresso della sala da pranzo accanto al portone. I suoi occhi azzurri brillavano nella semioscurita, quasi famelici.

“Oh!

Sir Hanry!

Come riuscite a non palesare la vostra presenza?”

Justine, che aveva salito i primi tre scalini, ne ridiscese, scivolando sensuale davanti alla sorella senza lasciarle la mano.

Il sorriso di Sir Hanry emerse dall’ombra.

“Milady, un mago non svela i propri trucchi” esclamò ammaliante avvicinandosi alle vampire.

“Peccato. La trovo una capacità molto eccitante! Adoro essere sorpresa e non è facile riuscire a farlo”

Justine sostenne senza esitazioni lo sguardo di cristallo del vampiro inglese che le si avvicinò sfacciato.

Si Hanry salì il primo gradino della scala e si accostò a Niccola levando una mano al suo volto per raccoglierle una ciocca di capelli dietro a un orecchio.

“E voi Niccola? Anche voi amate le sorpese?”

“Non molto, in verità”

L’Inglese si sporse verso di lei, avvicinando il proprio volto al suo e ispirò l’aria con fare incuriosito.

“Tabacco, luppolo, esseri umani…

Dove siete stata, Milady?”

Niccola abbassò lo sguardo a disagio prima di risollevarlo sul volto soddisfatto dell’Inglese, assumendo un’aria contrariata.

“Siamo andate a ballare, Sir Hanry. Nulla che meriti così la vostra curiosità”

“Tutto ciò che vi riguarda, mie Signore, merita interesse. Siete mie ospiti e non posso fare a meno di sentirmi responsabile per la vostra sicurezza come per la vostra… soddisfazione

A Niccola sfuggì un sospiro strozzato. Il sorriso di Sir Hanry si allargò e le punte dei suoi canini si intravidero fra le labbra sottili.

Justine scivolò sensuale fra loro, premendosi contro il petto del vampiro che ammirò sfacciato il suo invitante decolté.

“Non preoccupatevi, la nostra sicurezza e la nostra soddisfazione sono adeguatamente garantite dal nostro Signore”

Sir Hanry la fissò arrogante senza deporre il proprio sorriso. Justine sostenne il suo sguardo finchè non le accennò un inchino con il capo.

“Non ne dubito.

Vi auguro una serena notte, mie Signore, riparate dal mio tetto e protette dalla mia influenza”

“Grazie, Sir Hanry”

Senza togliergli gli occhi di dosso, salendo le scale all’indietro, Justine spinse Niccola verso il piano superiore.

Raggiunsero rapide la loro stanza e vi si chiusero dentro.

Niccola si lasciò cadere su un divaneto con un lungo sospiro di sollievo.

“Che audacia! Non so se preferirei cancellargli quel sorrisetto con gli artigli o succhiarglielo fino a staccarglielo!”

“Justine!?”

“Il sorriso! Che hai capito?! Sciocca!”

“In ogni caso sono commenti che non dovresti fare su Sir Hanry!”

“Lo so, ma che ci posso fare? È più forte di me!

Lo trovo stuzzicante e quella sua aura di mistero e di intrigo mi riempe di cattivi propositi”

“A me da i brividi”

“Si vede, te lo assicuro, e sono certa che la cosa lo eccita da morire! Devi mostrarti più forte e non devi farlgi vedere che hai paura di lui!”

“Sarebbe più facile se non mi guardasse sempre come se volesse mangiarmi!”

“Ma tu sai che non potrà mai farlo! Nemmeno lui oserebbe sfidare così la collera di Lucius. Fra tutti i torti che potrebbe fargli, toccare te sarebbe il peggiore. Adesso levati quella faccia da cerbiatto impaurito prima che Lucius si renda conto di tutto!”

“Vorrei avere la tua forza, Jigì! Sir Harry ti ha praticamente sbavato addosso e la situazione non ti ha nemmeno scalfito”

Justine osservò con un sorriso mesto l’espressione avvilita della sorella. Si lasciò cadere seduta accanto a lei e la abbracciò di slancio.

“Niky, anche io stavo morendo di paura, non credere!

Sir Hanry è affacinante, ma è subdolo e viscido.

Il fatto che mi intrighi non vuol dire che gli volterei le spalle alla leggera! Tuttavia sono davvero convinta che non oserebbe mai farci nulla, almeno non fino a che avrà la certezza di incappare nella furia di Lucius se dovesse farlo!

Per questo riesco a ostentare tanta sicurezza di fronte a lui. Non gli darò mai la soddisfazione di capire che ho paura di lui.

Se mostri a un uomo la tua paura, gli darai l’arma per schiacciarti.

Gioca con il suo desiderio e lo avrai in pugno.

Sono esseri così semplici.

Non fare quella faccia, sorella mia! Ci penso io a tenere Sir Hanry lontano da te!

So che non saresti mai capace di giocare con lui come faccio io. Il tuo cuoricino è troppo delicato e sensibile”

“Non prenderti gioco di me”

“Non lo faccio! Io adoro il tuo cuoricino, Amore mio! E voglio che sia sempre sereno e felice”

Justine la strinse fra le braccia e le bacio la fronte con slancio.


1770. Le Orsoline di Boston.


“Dai Justine, lasciami andare o si farà troppo tardi”

“Ma insomma, Niccola! Dai… resta con me! Perché perdere tempo con un gruppo di suore bacchettone?

Solo tu potresti davvero volerlo fare!

Quando mai si è visto un vampiro che si intrattiene in un convento!”

“Non è un convento vero e proprio”

“Sono suore, dove stanno di casa conta poco!”

Ivar ridacchiò, sollevando appena lo sguardo dai fogli del Boston Gazette.

“Sono sei religiose dell’ordine delle Orsoline in attesa di istallarsi in convento che stanno ultimando a Charleston, sulla collina di fronte a Boston, oltre lo stretto. Sono ospiti di un vecchio monastero in disuso”

“E tu che devi andare a fare da loro!?”

“L’altra sera, durante la festa a casa di Mister Hancock, ho sentito un paio di signore che parlavano di queste monache e del loro impegno con gli orfanelli di North End, il quartiere più a nord di Boston”

“Ho capito! Basta non dire altro! È sufficiente la parola orfanelli!

Ho capito tutto”

“Ci vorranno ancora anni perché il convento venga ultimato, su a Charleston. Pensavo di andare a vedere se hanno bisogno di qualcosa e in che condizioni è il monastero in cui le hanno sistemate”

“Vengo con te!”

Entrambe le vampire si voltarono sorprese verso Ivar che stava ripiegando con ordine i fogli del giornale.

“Non ho bisogno di una guardia del corpo!”

“Non ti scaldare subito, Mea Domina! Non vengo per sorvegliarti, anche se Lucius è stato chiaro, dopo la vostra ultima scampagnata al Drago Verde, quindici giorni fa, e North End non è esattamente il giardino di una dimora nobile!

In ogni caso, vengo perché sono un bravo falegname e ci saranno sicuramente lavori da fare, se il monastero è vecchio ed era in disuso”

Niccola fece per protestare, ma Ivar sollevò un folto sopracciglio ramato con un sorrisetto di sfida, incrociando le braccia sul petto come sempre.

“Stai per dirmi che è una scusa, Niccola?”

La vampira sbuffò scatenando la risata di Justine.

“Allora divertitevi, voi due! E mi raccomando… se cominciano a pronunciare monotone litanie facendosi il segno della croce… scappate! Il passo successivo è l’acqua santa”

“Ma falla finita! Dai Ivar, se devi venire con me, muoviamoci” esclamò Niccola alzandosi dal divanetto e afferrando lo scialle di cotone verde con fare spazientito.

Il Vichingo le si accostò alle spalle e glielo sistemò con cura.

“Dove andiamo?”

“Ai piedi di Corps Hill, non lontano da Christ Church, in School Alley”

“Prendiamo il calesse”

Un’ora più tardi Ivar fermò la piccola carrozza davanti all’ingresso di un edificio a due piani in legno e mattoni, in pessime condizioni. L’intonaco della facciata non esisteva più e tutto l’insieme, squadrato e rigido, dava l’idea di un magazzino più che di un monastero.

“Sei sicura che sia qui?”

“Questo è l’indirizzo che mi hanno dato”

Si accostarono al portoncino e Ivar diede alcuni colpi al legno con il batacchio arrugginito. Dopo poco l’uscio si socchiuse e il volto rubicondo di una donna circodato da un’austero velo nero e bianco comparve nello spiraglio.

 “Salve sorella, vorremmo parlare con la Madre Superiora”

“Chi siete?”

“Sono la Duchessa Niccola di Uligneto, un piccolo feudo del Granducato di Toscana e questo è Ivar, Cavaliere di Norvegia. Siamo ospiti di Sir Hanry Flacker qui a Boston”

La monaca aprì la porta e fece loro segno di entrare.

“Aspettate qui. Avviso Suor Beatrix”

La religiosa li lasciò soli nell’atrio spoglio e immerso nella penombra rischiarata solo da una piccola lanterna. I suoi passi risuonarono svelti sul pavimento di nuda pietra.

“Un posticino accogliente!”

Ivar si guardò intorno con un sospiro. Dal piccolo atrio squadrato partivano due stretti corridoi in direzioni opposte, entrambi immersi nell’ombra. Lungo i corridoi c’erano delle finestre, ma le imposte erano chiuse.

“Ed è giorno! Figurati cosa diventa di notte!”

“Non rabbrividire, Mea Domina, tu sei la cosa più pericolosa qui dentro”

“Come sei divertente!”

I passi tornarono verso di loro, il rumore di due paia di calzature.

“Buon giorno, Signori. Benvenuti! Sono Suor Beatrix, la Superiora di questa piccola comunità di Orsoline.

Chiedo venia per la povera accoglienza che possiamo riservarvi, ma al momento, come potete vedere, la nostra sistemazione è quantomai… essenziale”

La Badessa era una donna sulla cinquantina, dal volto magro e scavato in cui risaltavano due occhi nocciola intelligenti e gentili. Anche la sua voce era dolce e lieve. La sorella che la accompagnava, che aveva aperto loro la porta, più alta e altrettanto longilinea, aveva invece un aspetto più severo e giovane.

“Siamo qui per questo, Madre Beatrix. Abbiamo sentito parlare dell’opera di accoglienza e di aiuto che portate avanti qui nella zona del North End e vorremmo poter dare un contributo”

“Che tipo di contributo, Milady? Non possiamo accettare donazioni dirette. Per quel tipo di offerte dovete far riferimento al Vescovo di Boston, Monsignor…”

“No no, niente alte sfere ecclesiastiche. Siamo qui per aiutare voi, non il Vescovo di Boston! I nostri aiuti devono arrivare davvero a voi e non… perdersi per strada”

La Badessa osservò il volto di Niccola illuminato dal fuoco della lucerna che reggeva la sua consorella che la affiancava. Per un istante la sua espressione lasciò trapelare un sorriso di bonario divertimento, ma riuscì subito a controllarsi e tornò seria. Niccola finse di non aver visto nulla e riprese a spiegarle le proprie intenzioni.

“Ivar è un ottimo falegname e sa fare molte altre cose che saranno utili in questo vecchio edificio. Io non ho paura di rimboccarmi le maniche e fare ciò che è necessario, e poi porteremo abiti e cibo, coperte, quello che vi serve”

La Badessa si raddrizzò incuriosita e li scrutò entrambi in silenzio.

“Quando piove il tetto perde al piano superiore, nello stanzone in cui abbiamo sistemato i bambini” esclamò all’improvviso rivolgendo un’occhiata di sfida a Ivar.

Il Vichingo sorrise.

“Se permettete, potrei salire sul tetto per vedere l’entità del problema e mettermi al lavoro entro un paio di giorni, giusto il tempo di recuperare il materiale necessario”

“Ospitiamo quindici bambini fra i tre e dieci anni. Nessuno di loro indossa abiti in condizioni decenti” questa volta parlò guardando Niccola.

“Stiliamo una lista di ciò che serve di più urgente, poi con calma procureremo tutto il resto”

“Suor Teresa vi scorterà al piano superiore, Mister Ivar, ma prestate molta attenzione perchè la scala che porta al solaio è davvero in pessime condizioni”

“Non temete, Madre Beatrix, mi muovo sui tetti come un gatto”

La Badessa sollevò un sottile sopracciglio argentato, ma l’insolenza del vampiro parve divertirla più che indispettirla.

“Venite, Duchessa, seguitemi in quello che qui abbiamo il coraggio di chiamare il mio studio”

“Chiametemi solo Niccola, Madre, andrà benissimo!”

Suor Beatrix annuì con un sorriso e le fece segno di seguirla.

Quattro mesi più tardi il decadente magazzino spacciato per vecchio monastero pareva un edificio nuovo. Ivar aveva riparato il tetto, sistemato le imposte che finalmente si aprivano, reso agibile il piccolo cortile interno e fatto tutti i piccoli lavoretti necessari a migliorare il confort abitativo dei locali.

Niccola e Justine, con il benestare di Lucius, avevano procurato tutto ciò che serviva alle consorelle e ai bambini: abiti, lenzuola, coperte, biancheria, giocattoli e libri.

Justine non amava recarsi spesso al Befotrofio delle Orsoline, ma Niccola aveva preso l’abitudine di andarci almeno una volta a settimana e non solo si intratteneva spesso coi bambini, ma non si tirava indietro quando c’era da aiutare le sorelle nel fare il bucato, nel pulire e nel rassettare.

“E io che pensavo si fossero presi gioco di me!”

Niccola si raddrizzò in piedi, sollevando fra le mani il lenzuolo bagnato che stava per stendere sulla lunga corda tesa fra due pali in cortile. Aveva avvertito la presenza di qualcuno che la stava osservando, ma aveva dato per scontato si trattasse di qualcuno del Befotrofio.

Osservò incuriosita il giovane, poggiato al muro, con le mani raccolte attorno alla fibbia della cintura, con la stessa aria da mascalzone che aveva la prima volta che lo aveva incontrato.

Le sorrise e si separò dal muro avvicinandosi con fare scanzonato.

“State per ritirarvi in convento, Milady Niccola?”

“Come mai questa domanda?”

La vampira gli voltò le spalle e lanciò il lenzuolo di traverso sulla corda, tirandone le pieghe per stenderlo al sole.

“Sarebbe una perdita terribile! Al Drago Verde, Revere aspetta ancora di poter ballare con voi”

“Siete sfacciato, Mister Sam!”

“Vero! La sincerità è sempre sfacciata”

Niccola si chinò a prendere una grande pezza di lino dal cesto della biancheria e la stese sulla corda.

“Avvisate Mister Revere che non mi vedrà più al Drago Verde”

“Oh. Questa notizia mi addolora”

“Addolora voi?” la vampira si voltò verso di lui sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio “Perdonatemi, Sam, temo di non aver capito chi mi aspettava al Drago Verde”

“Non lo so, non me lo ricordo più.

Mi hanno detto che vi avrei trovata qui”

“Chi?”

“Mio zio”

“Jonh Adams” assentì Niccola, recuperando un ampio lenzuolo dalla cesta.

Sam le si avvicinò e prese uno dei lembi della stoffa per aiutarla.

“Sostiene di avervi vista a una delle serate organizzate dal Governatore”

“Come mai un tono così inquisitorio?”

“Avevate detto di non essere una lealista”

“E infatti non lo sono”

“Ma freqeuntate la casa di Hutchinson!”

“Sì! Frequento la dimora del Governatore, ma è in casa di Hancock che ho saputo di queste consorelle che si occupano dei trovatelli di North End”

“Chi siete davvero, Milady?”

Niccola scrutò incuriosita il cipiglio indagatore del giovane e gli rivolse un sorriso accondiscendente.

“Sam…

Voi guardate il mondo e lo vede solo bianco e nero. Io sono il grigio. Non prendo parte né dal nero né dal bianco.

La mia parte è qui, dove c’è bisogno e dove posso fare davvero qualcosa per aiutare”

“Sono gli inglesi ad aver ridotto così questi bambini, ad averli resi orfani!”

Niccola sospirò sorpresa dalla sua improvvisa animosità e gli rispose mesta.

“È vero. Adesso sono gli inglesi, ma, fra qualche decennio, se saranno gli americani a guidare questa città, questo posto ospiterà gli orfani e i poverelli resi tali dai vostri tanto cari patrioti.

Cambierà il colore delle bandiere, Sam, ma la condizione degli ultimi sarà la medesima. È così da sempre e sarà così sempre.

E io sarò ancora qui ad aiutarli. Qui o altrove”

Adams la scrutò scuro e socchiuse le labbra per risponderle, ma rimase in silenzio.

“Non consideratemi una vostra nemica, Sam, perché non lo sono anche se mi vedrete in compagnia degli inglesi, perché il giorno dopo probabilmente mi vedrete accanto a un patriota… magari persino a uno dei Figli della Libertà!”

“Siete una donna incredibile, Niccola”

“Spero sia un complimento”

“Sì… sì, lo è.

Perciò non abbraccerete la vita monastica”

“Non farebbe per me, temo”

“Questo mi conforta”

Niccola si voltò accigliata a scrutarlo.

“Che succede? Vi ho offesa di nuovo?”

“No, ma ho appena avuto un’idea!”

Sul volto di Sam si aprì un altro sorrisetto disonesto.

“Un paio le ho anche io”

“Come procede il vostro apprendistato col Dottor Warren?”

Il giovane rimase spiazzato.

“Il Dottor Warren?

Bene. Perché?”

“Perchè un medico è proprio quello che ci vorrebbe per alcuni dei bambini ospiti qui dalle Orsoline!

Non fate quella faccia delusa, Sam! Mi renderete un gran servigio, se mi presterete un po’ della vostra arte medica!”

“Se il risultato è un sorriso come quello, sono pronto a visitare tutti i bambini della città di Boston!”

“Vi sono grata, Sam! Davvero! Però… spero immaginiate che non potremo corrispondervi alcun…”

“Il vostro sorriso sarà il mio compenso!”

Il giovane medico tornò nel pomeriggio a prestare la propria opera al Befotrofio.


1773. Boston Tea Party.


I due anni che seguirono furono anni di stallo per la situazione politica. Le tensioni fra inglesi e americani si mantennero a un livello tollerabile. Non accaddero episodi eclatanti, al di là di qualche schermaglia fra le bande del North e del South End per il controllo del porto e dei traffici più o meno leciti che avevano luogo lungo le banchine e i moli.

Lucius, assecondando i consigli di Sir Hanry, dimostrò il proprio interesse verso le attività dei vampiri americani arrivando a farsi coinvolgere in alcuni loro traffici commerciali che implicavano le attività meno lecite di Jonh Hancock, senza smettere mai di intrattenere contatti e relazioni anche con il Governatore Hutchinson e il suo entourage inglese.

Uno degli affari nei quali Sir Hanry e Hancock coinvolsero Lucius fu il commercio del tè di contrabbando, notevolmente agevolato dai boicottaggi che i Figli della Libertà di Sam Adams promossero contro i prodotti inglesi, soprattutto proprio il tè di provenienza cinese, venduto dalla Compagnia Inglese delle Indie Orientali.

Nel 1773 il Parlamento Inglese varò uno dei più famosi provvedimenti fiscali dell’epoca, il Tea Act!

I profitti della Compagnia Inglese delle Indie Orientali, a causa dei boicottaggi americani, erano drammaticamente calati in quei tre anni, fino a sfiorare la bancarotta. Il governo britannico ricorse perciò al Tea Act che avrebbe permesso alla Compagnia di vendere tè alle Colonie senza l'obbligo di pagare tasse o dazi di alcun tipo al Regno Unito. In questo modo, non avendo spese fiscali in Inghilterra, la Compagnia avrebbe potuto spuntare un prezzo estremamente concorrenziale, affossando in breve tempo i commerci di molti mercanti e persino dei contrabbandieri del Nuovo Mondo.

Giunta a Boston la notizia del provvedimento, per decidere quali iniziative intraprendere, Sam Adams, insieme ai membri più influenti dei Figli della Libertà, organizzò numerosi incontri a cui presero parte mercanti, contrabbandieri, marinari e cittadini sempre più alle strette a seguito delle politiche economiche della madrepatria. Ad alcune di quelle riunioni parteciparono anche Sir Hanry, Lucius e Ivar.

La situazione in città si stava facendo sempre più tesa e la tensione era destinata ad esplodere presto o tardi.

L’occasione propizia per innescare la miccia, fu data ai Figli della Libertà, dall’arrivo al porto dei primi tre vascelli della Compagnia delle Indie Orientali.

Il primo vascello inglese che arrivò fu il Dartmouth, il 28 novembre 1773; l'Eleanor attraccò al Griffin's Wharf il 2 dicembre e il Beaver il 15 dicembre. Ognuna delle tre navi trasportava più di cento casse di tè della Compagnia Britannica pronte per la vendita.

Considerata la palpabile tensione che agitava le strade della città, il proprietario della Dartmouth e il suo capitano convennero che la cosa migliore da farsi sarebbe stata non scaricare il carico. I capitani dell’Eleonor e del Beaver si allinearono alla scelta, ma il governatore Hutchinson prese l’infelice decisione di bloccare il porto impedendo alle navi di salpare senza aver prima scaricato il tè.

Il 16 dicembre 1773, alle dieci di sera, più di cinquemila persone si riunirono all'Old South Meeting House, il più grande edificio pubblico di Boston, per decidere cosa fare per impedire lo sbarco del tè dalle tre navi inglesi. Lucius, Ivar e Sir Hanry erano anch’essi presenti.

Lo stesso capitano della Dartmouth, Rotch, appreso il rifiuto di Hutchinson a lasciarli salpare, si recò di persona alla riunione per avvisare Adams e gli altri di quali ordini avesse ricevuto dal Governatore.

Le discussioni si protrassero a lungo, ma non approdarono ad alcuna soluzione, finché Sam Adams sciolse la seduta con una frase che sarebbe passata alla storia:

“Questa assemblea non può più far nulla per salvare il paese!”

Subito dopo un nutrito gruppo di membri dei Figli della Libertà, travestiti da indiani Mohawk, si armò di asce e mazze e si diresse verso Griffin's Wharf, il punto dove erano ancorate le navi.

I vampiri li seguirono dai tetti, spiando le loro mosse.

Il gruppo di ribelli si divise in tre, raggiungendo ciascuna delle tre imbarcazioni inglesi. Una volta a bordo le casse contenenti il tè vennero portate dalle stive sui ponti e il contenuto venne gettato in mare.

Quella sera galleggiarono sulle acque del porto di Boston circa 45 tonnellate di tè provenienti da 342 ceste, per un valore stimato di novantaduemila sterline dell’epoca.

Il tè stagnò nelle acque del porto per settimane.

“Oh insomma! Questo terribile odore pungente non accenna a liberare l’aria. Persino con le finestre chiuse si sente ancora”

Justine agitò il ventaglio rosso davanti al naso, spiando l’espressione perplessa della giovane Poulette, che sedeva in terra ai suoi piedi.

“Non fare quella faccia, sciocca ragazzina! Lo so che tu non lo senti! Ma noi sì e ti assicuro che è ripugnante!”

La ragazza sorrise alla vampira e allungò verso di lei il braccio destro, mostrandole l’incavo del polso in un esplicito invito. Avrebbe fatto qualunque cosa per la sua padrona.

La vampira l’aveva salvata dalle grinfie di Sir Hanry poche settimane dopo il loro arrivo a Boston, quando ormai era rassegnata al proprio destino. Sarebbe stata il sollazzo di quel mostro inglese fino a che egli ne avrebbe tratto piacere, poi l’avrebbe uccisa, ma la dama francese l’aveva salvata e adesso lei avrebbe fatto qualunque cosa per compiacerla. Da quando era passata al suo servizio era circondata da vampiri che le riservavano un rispetto che non aveva mai conosciuto in tutta la sua breve vita. Li temeva, certo che li temeva! Erano pur sempre anime oscure, ma con lei erano buoni e persino offrire loro il proprio sangue non le sembrava più una cosa tanto orribile come accadeva ogni volta che Sir Hanry lo pretendeva. Solo Milord Lucius non le aveva mai chiesto nulla e la evitava sempre, ma lui sembrava avere occhi solo per la sua bella dama italiana.

Justine richiamò l’attenzione della ragazza picchiettando il ventaglio sul polso che le stava offrendo.

“No, Poulette, adesso non mi va, grazie! Questo odore dolciastro e pungente è troppo nauseante.

Che bella pensata che hanno avuto Adams e i suoi!”

“È stata una mossa idiota per molti motivi, non solo per questa puzza che appesta l’aria” intervenne Ivar che scrutava pensieroso dalla finestra del salotto un drappello di soldati inglesi di pattuglia “La risposta inglese non si farà attendere molto e sarà pesante!

Gli esponenti del Parlamento inglese che si erano professati favorevoli alle posizioni dei coloni adesso si schiereranno su posizioni più sfavorevoli. Il risultato più evidente della distruzione del tè sarà l’unificazione delle fazioni in Parlamento a Londra! Il passo successivo sarà qualche nuova legge volta a punire Boston e a limitare la libertà di azione dei Patrioti americani”

“Adams ha messo in piedi una tale baraonda… è decisamente un uomo fuori dal comune”

Justine riprese a sventolare il ventaglio con aria trasognata e Niccola sorrise scuotendo il capo.

“Sono in tanti ad averla messa in piedi, Jigì, e questa baraonda sta conquistando sempre più consensi in tutte le Colonie. Anluan aveva ragione. Questa storia non avrà un epilogo semplice”

“Ivar, secondo te quanto dovremo ancora restare qui?”

“Non lo so, Niccola, ma temo che non potremo andarcene troppo presto. Più guardo all’opera Sir Hanry più mi dà l’idea di un serpente in agguato. La mattina lo vedi conversare amabile con il Governatore e il pomeriggio annuisce entusiasta ai proclami di Adams, il tutto con la più assoluta naturalezza”

“Si chiama diplomazia, barbaro di un Vichingo!”

Ivar fulminò Justine con un’occhiata infastidita.

“Io lo chiamo viscido opportunismo. Sembra starsene lì in attesa che gli eventi evolvano per capire da che parti schierarsi, ma…”

“Lucius non fa forse la stessa cosa?”

“Sì, certo che la fa! Lui lo fa! Sir Hanry fa ben altro! Lui non aspetta che gli eventi facciano il loro corso! Lui fa in modo che accada ciò che farà la sua fortuna e poi finge di adattarsi, ma in realtà ogni sua mossa è attentamente studiata, ogni sua decisione è ponderata con cura.

Sono due anni che gli stiamo dietro e sa sempre esattamente dove trovarsi al momento più opportuno per i suoi interessi”

“È un abile diplomatico”

“Ah! Non mi ci metto a questionare con te, Incantatrice! Tu vedi solo quello che ti interessa e dal tuo punto di vista Sir Hanry ha molti pregi, senza dubbio”

Justine sorrise.

“Io trovo Sir Hanry pieno di fascino, senza dubbio, ma ti assicuro che mi guarderei bene dal lasciargli condurre la mia danza!”

Lo sentirono avvicinarsi alla porta tutti e tre, ma Poulette sobbalzò, quando improvviso entrò senza bussare, spalancando la porta con impeto.

“Tu azzardati a fare la tua danza con lui, Justine, e ti giuro che ti chiudo in un convento di clausura per i prossimi tre secoli!”

La vampira rise di gusto della minaccia che Lucius le rivolse.

Il Romano la squadrò infastidito, richiuse la porta e le si avvicinò, sedendole accanto.

“Non sto scherzando”

“Oh Lucius, non fare quella faccia truce perché la trovo tremendamente sensuale!

Per amor tuo, Sir Hanry sarà uno dei pochi vampiri che mi piacciono, ma che non mi prenderò. Non gli lascerei mai un tale onore!

Promesso”

Il vampiro la squadrò cupo.

“Non si tratta di un mio capriccio, Justine!”

L’espressione della vampira si riempì di malizia.

“No, no. È evidente!

Si tratta di competizione territoriale e la trovo molto eccitante! E su tutta la linea vinci tu, mio Signore!”

Le labbra di Lucius si incresparono in un sorrisetto, prima che la vampira riprendesse il filo del suo discorso con un’illazione che glielo cancellò subito.

“E poi, comunque, non sono io, la tua Principessa che maggiormente attira l’interesse del nostro ambiguo anfitrione, mio Oscuro Signore”

Justine si volse verso Niccola che, seduta accanto a lei, assunse un’espressione inquieta. Quando anche Lucius la scrutò, il suo disagio divenne evidente.

“Se osa anche solo…”

“Non lo farà, Lucius. Non farà nulla. È troppo accorto”

Niccola lo interruppe preoccupata. L’ultima cosa che voleva era diventare la causa di uno scontro aperto fra Lucius e Sir Hanry.

“Se dovesse fare una qualunque cosa che ti arrechi anche un minimo fastidio esigo che tu me lo riferisca!”

“Lo farò, non ti preoccupare! Sono sicura che non oserà far nulla più che fissarmi come fa sempre.

Posso sopportare le sue occhiate allusive e sfacciate e, comunque, non sono meno di quelle che rivolge a te, cara Justine. Perciò non tirarti fuori dalla questione con tanta leggerezza”

“Oh ma io so esattamente come gestire quelle occhiate, mia cara sorella. Non inizio a boccheggiare in modo imbarazzante, come fai tu!”

“No, certo, tu non hai un minimo di pudore! Tu metti in mostra tutto, sfidando il mondo con civetteria e senza ritegno”

“Io non mostro nulla! Il gioco, mia cara bacchettona, è proprio quello di non mostrare mai tutto, ma solo quel tanto che basta per solleticare gli appetiti.

Quando imparerai a gestire certe situazioni, sarà sempre troppo tardi”

“Io non ho nessuna intenzione di impararlo!”

“No, certo! Meglio boccheggiare come un salmone preso all’amo ogni volta che qualcuno ti guarda in un modo un tantino più sfacciato di quanto farebbe con un quadro della Natività!”

“Justine! Sei una… una…”

“Dillo! Avanti! Cosa sono!? Usa qualche terribile parola! Non ti si sporcherà la lingua!”

Niccola sbuffò esasperata dalla soddisfatta presunzione di Justine, ma Ivar intervenne voltandosi verso di loro e portandosi le mani sulle orecchie in modo teatrale.

“Lucius! Ti prego! Per amore della concordia e delle mie povere orecchie, zittiscile!”

Il Romano scoppiò a ridere e afferrò i fianchi di Justine, sollevandola di peso e portandosela seduta sulle gambe. La vampira incrociò le braccia sul ventre con un’espressione stizzita.

“Basta! Sembrate due gatte che litigano! Siete moleste.

Questa è una diatriba che non risolverete mai, smettete di perderci tempo.

Justine indossa un ambito di quelli che fanno diventare verdi tutte le donne che ti vedono, Niccola compresa. Che Sir Hanry sbavi in abbondanza su ciò che non avrà mai!

Stasera siamo invitati a un ricevimento in casa del Governatore e verrai anche tu, Niccola, e indosserai uno di quegli abiti che Justine ti regala sempre e tu non vuoi mai mettere!

Vi voglio entrambe ai miei fianchi come la visione incantatrice che siete.

Voglio che tutti vedano che Sir Hanry desidera ciò che appartiene a me, ciò che io solo posso avere!

Vediamo di cominciare a delineare qualche confine un po’ più definito.

Non ti separerai mai dal mio fianco, mia Adorata, e penserò io a stemperare qualunque imbarazzo potrà assalirti o a proteggerti da qualunque malsana idea potrebbe avere il nostro ambiguo amico inglese”

Si alzò in piedi, sorreggendo fra le braccia Justine, e la lasciò andare, baciandole una guancia, prima di distendere la mano verso Niccola in un esplicito invito.

“Non voglio che vi scontriate per me”

“Non accadrà e, quando succederà, non sarà a causa tua, Niccola. Purtroppo! Lo preferirei credimi! Piuttosto che dovermi trovare a difendere l’Alleanza dalle mire di un viscido traditore, preferirei di gran lunga dover proteggere te dai suoi squallidi appetiti”

Lucius sospirò lasciando correre lo sguardo per un istante verso Poulette. Non aveva ancora dimenticato lo stato in cui l’aveva vista la prima volta che l’aveva incontrata, quando ancora apparteneva a Sir Hanry, e non era stata l’unica ad aver subito quella sorte!

Niccola sollevò la propria mano verso quella che le tendeva il vampiro. L’idea di indossare uno degli abiti della sorella per affrontare gli innumerevoli sguardi che si sarebbero posati su di loro quella sera la innervosiva, ma lo avrebbe fatto comunque. La presenza di Lucius le avrebbe dato quella sicurezza che la stoffa che sarebbe mancata al vestito le avrebbe altrimenti tolto.

Il vampiro le afferrò la mano e la attirò fra le braccia, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo e inalando il profumo della sua pelle, nel punto esatto in cui, secoli prima, i suoi canini le avevano impresso il Diritto di Sangue.

Un brivido le corse lungo la schiena per quel gesto che, con tanta sensualità, rimarcava il legame che aveva stretto con lei.

«Sei mia. Ti proteggerò. Sempre».

Le sue braccia valevano mille rassicurazioni. Non avrebbe mai permesso che le accadesse nulla, l’avrebbe protetta dal più grande pericolo come dal più banale imbarazzo.

Come aveva fatto trecento anni prima, sarebbe sempre arrivato a riportarla alla vita, a costo di strapparla dalle grinfie della morte, in quell’eterna esistenza che le aveva donato.


To be continued ...